Latte
Così come nel caso del glutine, anche per il latte dobbiamo fare un po’ di chiarezza. Il consumo del latte è comparso in epoca relativamente recente con il passaggio dalla vita nomade del nostro antenato cacciatore raccoglitore alla vita stanziale basata sull’allevamento e l’agricoltura.
Tutto ciò è avvenuto circa 10.000 anni fa, nella Mezzaluna fertile, quando insieme alla coltivazione dei cereali si sono addomesticati i primi animali. Questo dato già permette di capire come il latte non sia indispensabile per la nostra vita.
Attualmente molte pubblicità (e molti colleghi medici) insistono sull’importanza del latte e dei formaggi per l’assorbimento del calcio e la prevenzione dell’osteoporosi. In natura, però, esistono tantissime altre fonti di calcio facilmente assorbibili tra cui la stessa acqua che beviamo, i vegetali e la frutta secca.
Inutile dire che formaggi e latticini sono un vero piacere per il palato: cerchiamo perciò di consumare questi prodotti con grande attenzione, per riuscire a trarne il massimo godimento senza spiacevoli effetti collaterali.
Il principale zucchero del latte e dei suoi derivati è il lattosio, un disaccaride composto da glucosio e galattosio.
La digestione del lattosio avviene nell’intestino tenue a opera dell’enzima lattasi, una beta – galattosidasi sita sull’orletto a spazzola dei villi intestinali che in presenza di acqua scinde il lattosio nei suoi due costituenti.
L’intolleranza al lattosio è l’incapacità di digerire questo zucchero a causa della mancanza, parziale o totale, della lattasi. In tale condizione il lattosio non digerito adeguatamente rimane nel lume intestinale dove viene fermentato dalla flora batterica, con conseguente produzione di gas (idrogeno, metano, anidride carbonica) e acidi grassi a catena corta.
La mancanza di lattasi può essere una condizione congenita, seppur rara, una vera e propria malattia familiare, autosomica recessiva, dovuta a un polimorfismo puntiforme del gene C/T 13910. Il genotipo CC è associato a ipolattasi (intolleranza al lattosio), i genotipi TT e CT sono associati invece a persistenza dell’attività lattasica e quindi a tolleranza al lattosio.
La forma più comune è quella primitiva a esordio ritardato, con manifestazione clinica tardiva e livelli di lattasi normali alla nascita che diminuiscono progressivamente con l’avanzare dell’età.
Esiste inoltre la forma acquisita, secondaria ad altre patologie gastrointestinali sia acute sia croniche (celiachia, fibrosi cistica, interventi chirurgici …) che causano un danno alla mucosa intestinale.
Nei soggetti intolleranti si manifesta una sintomatologia dose – dipendente , molto soggettiva, variabile da paziente a paziente. Generalmente poche ore dopo l’assunzione di alimenti contenenti lattosio si ha l’insorgenza di dolori e gonfiori addominali, senso di distensione gastrica, digestione lenta, nausea e frequentemente diarrea (ma può esservi anche stipsi).
Oltre ai classici disturbi addominali possono spesso manifestarsi sintomi sistemici come irritabilità, stanchezza, cefalea, manifestazioni cutanee (tipo orticaria o desquamazione cutanea). L’enzima lattasi è presente già all’8ª settimana di gestazione e aumenta fino alla 34ª settimana.
I livelli di lattasi nell’intestino sono massimi alla nascita, quando il latte costituisce il nutrimento esclusivo del bambino. Dopo lo svezzamento iniziano a decrescere progressivamente, in maniera estremamente variabile da individuo a individuo.
L’intolleranza al lattosio interessa più della metà della popolazione mondiale. Varia in base all’etnia. In Nord Europa, Nord America e Australia si rilevano valori minori di incidenza, mentre in Sud America, Africa e Asia si registra un’incidenza superiore al 50%, fino ad arrivare all’Estremo Oriente dove si raggiunge anche il 100% di intolleranza.
In Italia circa il 50% della popolazione ne è affetta, con aumento dal Settentrione al Meridione. Come in tutte le malattie è importante formulare una vera e propria diagnosi. Il gold standard per la diagnosi è l’H2 breath test, un esame semplice e non invasivo adatto anche ai pazienti più piccoli.
Si esegue un’espirazione basale a digiuno, si fa bere lattosio al paziente, anche sotto forma di vero e proprio latte, e poi si eseguono prelievi di respiro ogni 30 minuti circa per almeno 3 ore. Il test si definisce positivo se l’H2 supera le 20 ppm rispetto al basale.
Il test è dunque provocativo, pertanto nel corso dell’esame i pazienti positivi manifestano subito i loro disturbi. L’unica terapia è l’esclusione dalla dieta degli alimenti contenenti lattosio. Nella forma secondaria di intolleranza si consiglia di escludere totalmente il lattosio per un periodo di circa 3 mesi, per permettere la remissione completa di tutti i sintomi e la ripresa della normale funzionalità intestinale.
Dopo tale periodo si reintroducono nella dieta bassi quantitativi di lattosio per poi accrescerli gradualmente in frequenza e quantità, sempre valutando la reazione individuale. Nella forma primaria di intolleranza, determinata quindi geneticamente, gli alimenti contenenti lattosio devono invece essere esclusi dalla dieta in modo permanente.
Dal momento che il lattosio trova frequente impiego nell’industria alimentare come conservante e addensante, bisognerà leggere sempre attentamente la composizione degli alimenti per evitarne l’introduzione accidentale.
Anche molti farmaci (il lattosio è utilizzato in più del 20% dei farmaci richiedenti ricetta medica e in circa il 6% dei farmaci da banco) e integratori alimentari contengono lattosio come eccipiente, compresi i granuli omeopatici.
L’industria ha immesso sul mercato numerosi prodotti delattosati, ad alta digeribilità (HD), in cui il lattosio è stato idrolizzato in modo da ridurne le concentrazioni fino al 70% rispetto alla concentrazione iniziale. Sono disponibili yogurt, formaggi freschi, latte, prodotti da forno e insaccati senza lattosio.
Esiste inoltre la possibilità di assumere enzimi specifici, prima di consumare cibi contenenti lattosio, allo scopo di evitare effetti indesiderati. Questi enzimi sono lattasi esogene derivate da Kluyveromyces lactis e Aspergillus oryzae. Anche i probiotici possono aiutarci a digerire il lattosio.
La somministrazione di Lactobacillus bulgaricus o di Streptococcus thermophilus migliora la digestione del lattosio.
Quindi maggiore libertà per quanto riguarda il consumo di yogurt, ossia il latte fermentato da questi due batteri, con produzione di acido lattico che conferisce il particolare sapore acidulo. Si tenga presente, inoltre, che la percentuale di lattosio di un formaggio dipende dal suo processo di lavorazione e dalla stagionatura.
Nei formaggi stagionati a pasta dura, tramite la pressatura viene allontanato gran parte del siero e in tal modo il contenuto di lattosio, già minimo, viene ulteriormente ridotto con la stagionatura.
Questi formaggi hanno un contenuto di lattosio pressoché nullo. Se ne sconsiglia il consumo solo nei casi di intolleranza sintomatica medio/grave.
Oltre il lattosio
Il lattosio non è l’unico imputato per quanto riguarda la digestione del latte. Spesso i problemi possono derivare dalle proteine del latte vaccino, costituite principalmente dalla caseina (circa 80%) e dalle siero proteine (il restante 20%).
Le caseine sono stabili ai trattamenti termici a cui viene comunemente sottoposto il latte, mentre la beta – lattoglobulina e le altre proteine del siero vengono almeno parzialmente denaturate dai trattamenti termici.
Gran parte dei soggetti allergici alle proteine del latte vaccino non tollera neppure il latte di altri mammiferi (capra, pecora) per l’elevata omologia tra le proteine. Meno somiglianti sono il latte di asina, cavalla e cammella. Ogni tolleranza va comunque verificata caso per caso.
L’allergia alle proteine del latte interessa circa il 2 – 3% della popolazione pediatrica. Generalmente i sintomi sono cutanei (orticaria, dermatite atopica, angioedema) ma possono essere anche gastrointestinali (rigurgiti, vomito, diarrea, dolori addominali) o generali (oculorinite, asma).
La prima regola per districarsi è quella di ascoltare il nostro corpo. Se dopo il cappuccino al bar o dopo un assaggio di formaggi a pranzo compaiono mal di testa, starnuti ed eczemi forse è opportuno valutare un’eventuale intolleranza.
Il latte è un alimento straordinario che ci fornisce la natura, ricco di sostanze salutari quali vitamine (D, E, A), sali minerali, acidi grassi, soprattutto se scegliamo un latte intero di alta qualità proveniente da mucche che pascolano all’aria aperta. Di solito però, a parte qualche fortunato, l’uso indiscriminato di prodotti lattiero – caseari determina lo sviluppo di intolleranza.
Il segreto è probabilmente non rendere il consumo di questi prodotti un’abitudine.
Lasciamo sempre alcuni giorni della settimana liberi dal latte e se per colazione ci concediamo yogurt, ricotta o formaggi, evitiamo di riproporli nei pasti successivi.
Con DietaGIFT consigliamo inoltre di provare anche le bevande vegetali, impropriamente chiamate “latti” perché ne ricordano la consistenza e il sapore, che sono naturalmente prive di lattosio e proteine del latte.
Diffusissime ormai sul mercato, se ne trovano per tutti i gusti. Importanti anche qui la qualità e l’assenza di zuccheri aggiunti.
Bibliografia: Medicina di Segnale