Cardiologia di Segnale

L’equilibrio dei vari sistemi (endocrino, nervoso, immunitario, cardiovascolare, per citarne alcuni) è fondamentale per evitare le patologie croniche

Medicina funzionale

La medicina come la conosciamo noi occidentali, da alcuni definita “convenzionale”, oggi è affiancata da molte altre discipline che offrono nuovi paradigmi interpretativi, diagnostici e terapeutici.

L’alimentazione di segnale, concetto caro all’amico Luca Speciani, ideatore della DietaGIFT (Gradualità, Individualità, Flessibilità, Tono), ne rappresenta un mirabile esempio (5).

Dopo lo strapotere del conteggio calorico nelle diete, sono comparse numerose evidenze che ogni alimento ha un particolare effetto sul nostro metabolismo a prescindere dal contenuto calorico.

In un elegante studio del 2004 (6) due gruppi di pazienti hanno seguito due diete isocaloriche (esattamente con lo stesso numero di calorie), tuttavia i risultati sono stati diversi: il gruppo a dieta con un’importante quota proteica ha conseguito, dopo tre mesi, una perdita di peso superiore di 2,5 kg rispetto al gruppo con dieta a prevalenza di carboidrati.

Questo significa che per dimagrire non è fondamentale un mero calcolo calorico, ma occorre scegliere gli alimenti che inviino un “segnale” salutare per il nostro organismo.

La medicina funzionale parla lo stesso linguaggio partendo dal concetto che per prevenire le malattie occorra mantenere e ripristinare le normali funzioni fisiologiche del nostro corpo.

L’equilibrio dei vari sistemi (endocrino, nervoso, immunitario, cardiovascolare, per citarne alcuni) è fondamentale per evitare le patologie croniche e per rispondere armonicamente allo stress.

Questa nuova visione apre le porte a una rivisitazione dei classici fattori di rischio che possono assumere valenze differenti in ogni individuo. Occorre perciò contestualizzare il valore ematico o il dato pressorio alla luce della peculiarità individuale.

Soprattutto è auspicabile ricorrere all’alimentazione, all’attività fisica e alle metodiche che apportano benessere psicosociale prima di approdare al farmaco, che “cura” un parametro introducendo la possibilità di effetti collaterali, e con la limitazione del rischio residuo, di cui si parlerà a breve.

L’inerzia clinica

In tutte le linee guida per la prevenzione cardiovascolare si attribuisce un ruolo fondamentale allo stile di vita, in particolar modo alla nutrizione, all’attività fisica e all’astensione dal fumo.

Va subito detto che purtroppo, riga dopo riga, in queste pubblicazioni spesso aleggia una sorta di sfiducia nel proporre cambiamenti nello stile di vita, magari con l’alibi che tali raccomandazioni non vengono seguite a lungo termine e raramente oltre i 12 mesi, come affermano alcuni ricercatori (7)

Questa atmosfera genera nel medico la cosiddetta “inerzia clinica”, ovvero una rassegnazione a non intervenire sullo stile di vita del paziente.

Alcuni anni or sono ho seguito la metodologia clinica del dottor Luca Speciani, affiancandolo nel suo studio.

Si presentò un imprenditore che aveva richiesto al cardiologo di fiducia una dieta per la sua imponente obesità addominale.

L’imprenditore ci disse che il cardiologo preferì concentrarsi sulla terapia farmacologica per l’ipertensione e non diede importanza alla richiesta perché poco fiducioso sulla sua reale motivazione.

Nella visita di controllo con il dottor Speciani, invece, il paziente aveva già perso 6 kg di peso e ridotto il dosaggio dei farmaci. Questo grazie alla capacità del medico di coinvolgere il paziente nel cambiamento del proprio stile di vita. Per me fu un “segnale”. Non avrei più dovuto cadere nella trappola della rinuncia alla vera prevenzione.

Farmaci: gioie e dolori

La cardiologia è una branca della medicina progredita in maniera rigogliosa negli ultimi decenni. Grazie anche ai farmaci e alla tecnologia, l’elevata mortalità per infarto, aritmie e scompenso cardiaco è stata ridimensionata.

Il pacemaker, i defibrillatori, l’angioplastica coronarica, gli stent coronarici – per citarne alcuni – sono scoperte mediche che hanno migliorato la storia clinica di milioni di pazienti.

Ciononostante, tutte le procedure interventistiche cardiologiche presentano rischi e bisogna evitarne un uso inappropriato.

Analogamente, tra i farmaci utilizzati in ambito cardiovascolare, gli antipertensivi contrastano l’insorgenza di ictus cerebrale, di infarto e scompenso cardiaco, di insufficienza renale e di tante altre patologie.

I benefici possono realizzarsi già per minime diminuzioni della pressione arteriosa. Infatti, ridurre stabilmente la pressione sistolica di soli 3 mmHg può diminuire la mortalità per ictus dell’8% e per infarto del 5%.

Il ricorso ai farmaci deve però costituire l’ultima spiaggia, proprio quando abbiamo esaurito tutte le carte a nostra disposizione. I possibili effetti collaterali sono sempre dietro l’angolo.

Nei pazienti in trattamento con due classi di antipertensivi (ACE-inibitori o sartani e diuretici) si può realizzare una significativa alterazione della funzionalità renale. Se questi pazienti assumono anche antinfiammatori non steroidei (FANS) per un periodo sufficientemente lungo, la funzione renale può scadere pericolosamente.

Alcuni medici hanno descritto questo effetto collaterale come triple whammy, che significa “tripla sfiga”9.

Il rischio residuo

Il motto della cardiologia di segnale dovrebbe essere: “Prima la natura e poi i farmaci e le procedure interventistiche, quando non è possibile fare altrimenti”.

Quest’affermazione non muove dal mero intendimento di evitare gli effetti collaterali. Semplicemente, i farmaci spesso non determinano una reale guarigione. Sebbene in alcuni casi migliorino la sopravvivenza e riducano l’insorgenza di patologie gravi, non rappresentano comunque la soluzione ideale.

Alcuni studi hanno dimostrato che se si analizzano due gruppi di persone che hanno entrambi la pressione arteriosa sotto i 140 mmHg di massima e sotto i 90 mmHg di minima, il gruppo che raggiunge questi livelli pressori grazie a un farmaco presenta un rischio cardiovascolare decisamente maggiore rispetto a quello con gli stessi valori pressori ma senza antipertensivi. Si parla quindi di rischio residuo10.

Bibliografia: Medicina di Segnale

Simona Culatti
Simona Culatti
Varese
Leggi Tutto
Francesco è davvero una persona speciale ❤️ Sempre disponibile in ogni momento 🤗 Da quando mi segue, sto decisamente meglio😍 Grazie di ❤️

Cerchi Soluzioni?

Puoi utilizzare questa barra di ricerca o usare WhatsApp

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *