Inquadriamo la patologia
Dal 2001 al 2008 le prescrizioni di terapia ormonale sostitutiva tiroidea negli Stati Uniti e in Inghilterra sono cresciute del 30% (1), e in Italia siamo del tutto allineati: anche nel nostro Paese è documentato un forte innalzamento nelle prescrizioni di ormone tiroideo come terapia sostitutiva per la cura dell’ipotiroidismo.
Non sembra esservi alcuna particolare ragione “curativa” a giustificare questo aumento. La sensazione precisa sia di molti medici sia di un numero crescente di pazienti sembra essere quella di un aumento delle prescrizioni inutili, o in altre parole che il farmaco sia spesso prescritto a chi non ne ha davvero bisogno.
1 Taylor PN, Iqbal A, Minassian C, Sayers A, Draman MS, Greenwood R, et al. Falling threshold for treatment of borderline elevated thyrotropin levels-balancing benefits and risks: Evidence from a large community-based study. JAMA Intern Med. 2014;174(1):32-9.

Il motivo principale dell’errore risiede nella scorretta abitudine, da parte di un gran numero di medici, di trattare con ormoni sostitutivi anche i pazienti cosiddetti subclinici, ovvero con produzione ormonale nella norma (fT3 e fT4) ma con un lieve innalzamento del TSH (l’ormone ipofisario che stimola la tiroide a lavorare di più e meglio).
Tale incongruo trattamento (che mette sotto farmaci un paziente sostanzialmente sano e privo di qualunque sintomatologia) genera dipendenza farmacologica e rallenta la naturale attività della tiroide.
Se viene interrotta la “cura”, infatti, il TSH schizzerà alle stelle per effetto rimbalzo inducendo nel paziente l’errata convinzione di avere assoluto bisogno della terapia. Sulla base di questa falsa informazione il numero di “malati” di tiroide aumenta esponenzialmente e non è difficile ormai trovare, in una cena tra amici, la maggioranza dei presenti sotto trattamento.

Basti pensare ai nutrizionisti ancora ingenuamente convinti che non si possano mangiare più di due uova la settimana se non si vuol vedere impennare il colesterolo (quando decine di lavori scientifici dimostrano il contrario) o a taluni cardiologi ossessivi nel ripetere che “il colesterolo è il maggior fattore di rischio cardiovascolare” quando è scientificamente ben noto che fumo, ipertensione e diabete sono assai più dannosi.
Quando la macchina del marketing delle principali multinazionali del farmaco si mette in moto, tutti ne veniamo influenzati: noi medici, le società di specialisti, le associazioni dei pazienti, i giornalisti, gli informatori medico-scientifici, i ricercatori, i docenti universitari, i politici, le riviste scientifiche. Diventa poi davvero difficile sradicare una falsa credenza anche quando la scienza l’abbia già completamente smentita.

L’approccio verso la cura dei problemi tiroidei oggi sconta questo grave errore di partenza (il credere alle sirene del marketing come se fossero portatrici di vera scienza e non di interessi commerciali) con un elevato tasso di sovradiagnosi (più di 40.000 tiroidi asportate ogni anno in Italia, spesso a seguito di biopsie dubbie), a cui consegue un inaccettabile e incongruo trattamento precoce verso una tiroide ancora sana, che magari presenta qualche fattore di rischio.
Se dovessimo trattare farmacologicamente tutti i fattori di rischio prima del manifestarsi di una patologia assisteremmo a una violenta impennata del numero di trattamenti (e di “malati”) e a un’esplosione nella vendita di farmaci. Che è ciò che sta accadendo con l’ipotiroidismo, vero o supposto che sia. Cerchiamo di capire insieme come fermare questa assurda deriva che tanti danni sta procurando.

Una risposta difensiva non va corretta
Il problema può essere visto da due visuali differenti, che tuttavia convergono verso lo stesso risultato: un ipertrattamento farmacologico. La prospettiva della Medicina di Segnale ci dice che se un organismo sposta il proprio equilibrio in una direzione (rallentamento tiroideo, aumento pressorio, innalzamento glicemico, risposta allergica) lo fa sempre con uno scopo difensivo o, per meglio dire, per tamponare un danno, evitare danni peggiori o ripristinare un equilibrio perduto.
È esattamente ciò che fa la tiroide, che è un organo importantissimo per la fine regolazione della spesa metabolica, in grado di fare la differenza – in un individuo preistorico – tra la vita e la morte per fame. Se le quantità di cibo (o la qualità dello stesso) non sono reputate sufficienti dall’organismo, l’ipotalamo si incarica di rallentare la tiroide allo scopo di ottenere un atteggiamento metabolico più prudente, ovvero di limitare i consumi complessivi.

Una tiroide più lenta accumula più grassi, consuma meno scorte muscolari, rallenta il battito cardiaco, abbassa la temperatura corporea, induce pigrizia, calma e tranquillità. Nulla di grave, in questa fase, ma con l’effetto importante di diminuire gli sprechi verso tutto ciò che non sia indispensabile. Fino a che la situazione non diventi cronica o si aggravi (vedremo più avanti come capirlo) il medico di segnale, dunque, non prescrive trattamenti con ormoni (levotiroxina).
I soli pazienti che devono essere trattati con certezza sono i tiroidectomizzati (la cui tiroide è stata interamente asportata per un tumore o per altri motivi) o quelli che siano incorsi in un’atrofizzazione della tiroide, per esempio con radio – iodio a causa di un grave ipertiroidismo. Per tutti gli altri serve un ragionamento che vada al di là del meccanico calcolo che vede aumentare i dosaggi se il TSH è alto e ridurli se il TSH si abbassa.

Serve ragionare sulle cause reali del problema, e ancora prima chiedersi se il problema esista realmente o sia solo nella fantasia di chi ha definito linee guida troppo restrittive. Oscillazioni temporanee del TSH non devono essere prese in considerazione. Non si devono trattare, se non in casi gravi, gli anziani, che presentano naturalmente valori più alti di TSH.
Non si devono trattare alla leggera donne in gravidanza per lievi oscillazioni del TSH, ove non vi siano autoanticorpi positivi.
Non si devono trattare sportivi di endurance, a cui il trattamento potrebbe prosciugare le energie prima del tempo. Ma soprattutto, come vedremo, non si devono trattare individui che abbiano valori di fT3 e fT4 (gli ormoni tiroidei veri) perfettamente in range: ciò che invece accade spessissimo.

Come recitano le linee guida delle maggiori società di endocrinologia mondiali: trattare un paziente con ormone tiroideo in presenza di una secrezione ormonale normale (cioè con fT3 o fT4 nella norma) può generare ipertiroidismo iatrogeno. Ben più grave di qualunque forma di ipotiroidismo.
Insomma: avere troppa fretta nel trattare un paziente con ormoni non è mai raccomandabile. E, comunque, finché non si risolve il problema dell’apporto calorico insufficiente (prima causa di ipotiroidismo) non vi è terapia che possa ritenersi giustificata.
Il medico di segnale, a differenza di molti endocrinologi, cerca di modificare i fattori causali alla base del rallentamento.

Serve ragionare sulle cause reali del problema, e ancora prima chiedersi se il problema esista realmente o sia solo nella fantasia di chi ha definito linee guida troppo restrittive. Oscillazioni temporanee del TSH non devono essere prese in considerazione. Non si devono trattare, se non in casi gravi, gli anziani, che presentano naturalmente valori più alti di TSH.
Non si devono trattare alla leggera donne in gravidanza per lievi oscillazioni del TSH, ove non vi siano autoanticorpi positivi. Non si devono trattare sportivi di endurance, a cui il trattamento potrebbe prosciugare le energie prima del tempo.
Ma soprattutto, come vedremo, non si devono trattare individui che abbiano valori di fT3 e fT4 (gli ormoni tiroidei veri) perfettamente in range: ciò che invece accade spessissimo.

Questo significa riprendere un’alimentazione corretta che escluda categoricamente qualunque tipo di dieta a controllo calorico (esplicito o meno) e qualunque forma di digiuno (parziale, intermittente, 5 + 2, mimadigiuno, salto dei pasti ecc.). Una vera impresa in questo periodo di deliri alimentari.
Non sarà inutile capire perché chiunque segua le più diffuse diete popolari o (ahimè) le diete ipocaloriche proposte da una parte del mondo scientifico si trovi a soffrire un rallentamento dell’attività tiroidea: se togliamo benzina, insomma, la macchina dovrà andare più piano.
La tiroide è quel piede che decide quanto a fondo spingere sull’acceleratore. Se spinge poco, probabilmente ha i suoi buoni motivi: a noi capirli e, ove possibile, correggerli.

Bibliografia: Medicina di Segnale

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