Acido urico
La gotta è una condizione determinata da un aumento del concentrato sierico di acido urico che può causare (ma non necessariamente) artrite gottosa, depositi di urato (tofi), nefropatia cronica e calcoli renali. È una malattia dei maschi dopo la pubertà e della donna dopo la menopausa; esistono però anche forme secondarie a malattie linfoproliferative o indotte da chemioterapia.
Nel 15-30% dei casi vi è una componente familiare. L’acido urico viene escreto per via renale, ma una quota abbondante di quello filtrato viene riassorbito dal tubulo renale per cui solo un 7-12% del filtrato viene definitivamente eliminato con le urine.
L’acido urico rappresenta nell’uomo e nei Primati il prodotto finale del catabolismo delle purine, mentre negli altri animali il prodotto finale di tale metabolismo è l’allantoina, solubile ed eliminata completamente con l’urina.

La perdita del gene dell’enzima uricasi, che trasforma l’acido urico in allantoina, è avvenuta tra 10 e 20 milioni di anni fa durante la cosiddetta “Miocene disruption”, quando si è avuto un brusco cambiamento delle condizioni climatiche con calo delle temperature.
In soggetti con un’alimentazione prevalentemente povera di sale l’acido urico, agendo sul sistema renina – angiotensina, ha permesso quell’innalzamento della pressione arteriosa tale da consentire l’acquisizione della posizione eretta. L’acido urico ha anche un potente effetto antiossidante, anzi è il più potente antiossidante del nostro organismo.
Il silenziamento del gene che produceva uricasi è andato di pari passo con la perdita della possibilità di sintesi diretta della vitamina C, l’altro potente antiossidante, poiché la vitamina C era di facile assorbibilità con il cibo in un periodo in cui l’alimentazione si basava su frutta, radici e verdure, tutti alimenti che ne sono ricchi.

L’acido urico è per la maggior parte di produzione endogena, a livello epatico e per una piccola quota nell’intestino tenue. L’acido urico deriva quindi in massima parte dal catabolismo degli acidi nucleici a livello endogeno (500-600 mg/die) mentre l’introduzione con la dieta è di 100-200 mg/die.
Un adiuvante noto per la capacità di attivare i linfociti T è il citosol proveniente da cellule di mammiferi danneggiate. Le componenti citosoliche dotate di attività adiuvante sono due: una delle due è l’acido urico.
Si ritiene pertanto che la morte cellulare programmata dia inizio a un processo di degradazione delle purine con produzione locale di acido urico, che agirebbe come “segnale di danno” diretto al sistema immunitario.
Anche con questo meccanismo la presenza di acido urico conferirebbe una protezione per la sopravvivenza. Si pensa, però, che se i livelli di acido urico restano persistentemente elevati si ha anche un continuo stimolo immunitario, con la conseguenza di poter favorire l’insorgenza di patologie autoimmuni.

I livelli fisiologici di acido urico, sempre nell’uomo del Paleolitico, si innalzavano in caso di digiuno o di carestia determinando insulinoresistenza e infiammazione del tessuto adiposo con incremento di resistina e visfatina e diminuzione della leptina, da cui conseguivano rallentamento di tutto il metabolismo e accumulo di scorte.
L’insulinoresistenza del diabetico o dell’obeso è a sua volta un fattore di incremento dell’uricemia, in quanto l’insulina compete a livello renale per l’eliminazione dell’acido urico.
Il forsennato incremento cui è andato incontro l’acido urico nel sangue umano si è determinato solo per il cambiamento radicale del nostro stile di vita. Infatti in passato la gotta era stata la malattia di papi e re, proprio per il forte impatto che l’alimentazione e spesso la mancanza di attività fisica esercitava sul metabolismo dell’acido urico.

Bassi livelli di acido urico sono stati anche messi in relazione con alcune malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, la sclerosi multipla e il Parkinson, ma ciò deriva dalla convinzione – invero ancora in parte radicata – che molte menti brillanti del passato come Alessandro Magno Cesare Augusto, Luigi XIV fossero tutti gottosi.
Certamente l’acido urico è uno stimolante cerebrale, avendo un struttura simile alla caffeina, e questo è stato indubbiamente un altro vantaggio nell’evoluzione quando vi era carenza di alimenti, ma oggi si è visto che l’iperuricemia facilita la patologia vasculocerebrale con deficit cognitivi.
L’acido urico presenta dunque due facce: una “buona” collegata a bassi livelli circolanti e una “cattiva” in relazione ad alti livelli che non sono più fisiologici. Nell’opinione comune si continua a proporre l’associazione “gotta = consumo di carne”, ma tale concetto deriva da una carente analisi del modo in cui si mangiava in passato alle tavole dei “ricchi”.

Le carni e la selvaggina venivano trattate con caramellature (dopo la prima Crociata con zucchero derivato dalla canna e a partire dal Settecento anche dalla barbabietola), frutta candita o molto miele, quindi era l’eccessivo apporto di zuccheri e fruttosio che poteva incrementare maggiormente i livelli di acido urico, non tanto la carne in sé.
Per inciso, la selvaggina specialmente oggi è un’ottima carne priva di estrogeni e antibiotici, magra, da animali non allevati con mangimi industriali (si pensi al caso “mucca pazza”) e che hanno vissuto liberi e all’aperto; pertanto cominciamo con il dire che la carne di selvaggina va benissimo anche per il gottoso!
Inoltre, tornando alle tavole dei “ricchi” del passato, vanno ricordate le abbondanti libagioni a base di vino e birra che accompagnavano i pasti, e l’alcol ha un effetto ipouricosurico. Il fruttosio svolge un ruolo di start nel metabolismo dell’acido urico tramite l’attivazione del sistema ATP/ADP e la formazione di AMP.

Il fruttosio viene catturato dalla fruttochinasi epatica che forma fruttosio – 1 –fosfato alimentando la sintesi di acido urico e/o di trigliceridi. Inoltre la fruttochinasi epatica non ha alcun feedback negativo, per cui più fruttosio si introduce più acido urico e trigliceridi si producono.
Nell’alterazione dell’iperuricemia l’acido urico quindi è solo il “braccio armato” del fruttosio, un vero “killer seriale” per l’organismo. L’importanza dell’interazione tra fattori genetici e stile di vita trova un chiaro esempio nei Maori della Nuova Zelanda: questa popolazione ha una predisposizione marcata per lo sviluppo di iperuricemia e gotta, a causa di un difetto genetico nella gestione dell’urato renale.
Tuttavia non vi è alcuna menzione di gotta tra di loro prima del XVIII secolo. Il magro e forte Maori dell’antichità aveva una dieta a base di patate dolci, taro (vegetale molto comune in Polinesia), radice di felce, uccelli e pesci.

La sindrome metabolica ha come suo start l’acido urico a livelli intorno a 5 mg/dL. Sta emergendo anche una compartecipazione al danno vascolare indotto da acido urico da parte della xantinaossidasi, l’enzima che trasforma l’ipoxantina in acido urico.
Alti livelli di xantina ossidasi determinati da alti livelli di acido urico favorirebbero e amplificherebbero l’azione ipossico – ischemica a livello vascolare. Se tralasciamo per un momento la dieta – fondamentale nella gestione dell’iperuricemia – come risponde la medicina allopatica a tale affezione?
Essenzialmente con gli inibitori della xantina ossidasi e con gli uricosurici oltre che con colchicina, FANS e steroidi per l’attacco acuto di gotta. Gli inibitori della xantinaossidasi sono l’allopurinolo e il più recente febuxostat.

Non devono essere assunti durante l’attacco acuto di gotta, per evitare l’esacerbazione dell’attacco stesso, e quando si inizia una terapia con questi farmaci si deve prestare attenzione agli episodi di acuzie gottosa per rimozione dell’acido urico dai tessuti, soprattutto a livello articolare.
Occorre perciò iniziare il trattamento con bassi dosaggi e aumentarli progressivamente. Sono farmaci che vengono usati per lunghi periodi ma possono determinare gravi effetti secondari epatici, renali e cutanei fino alla temibile sindrome di Stevens – Johnson.
Nessun uricosurico è attualmente in commercio in Italia. Negli Stati Uniti è disponibile il lesinurad, un nuovo uricosurico di prossima registrazione nell’Unione Europea che agisce a livello del tubulo renale competendo con il trasportatore dell’acido urico e impedendone il riassorbimento.

Facciamo ora un rapido excursus sulle manifestazioni cliniche in acuto: l’attacco acuto di gotta è monoarticolare e colpisce preferenzialmente l’articolazione metatarsofalangea del primo dito del piede (podagra) o la metacarpofalangea del primo dito della mano (chiragra); può però interessare anche ginocchia, gomiti, polsi, caviglie e più raramente altre articolazioni.
Altre volte si possono avere una tendinite gottosa, tipicamente al tendine di Achille, o borsiti gottose. L’attacco insorge prevalentemente di notte, facilitato dalle abbondanti libagioni ma anche dal freddo o dal digiuno prolungato. La terapia classica prevede la somministrazione di colchicina (0,5 mg × 2) accompagnata da FANS o cortisone.
Per quanto riguarda la terapia dell’iperuricemia, non vi è pieno accordo su quali livelli di urato siano da considerare meritevoli di trattamento. I dati sono ancora controversi e vi sono indicazioni che prevedono di trattare l’iperuricemia in assenza di attacchi di gotta a 9 mg/dL.
Bibliografia: Medicina di Segnale

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