Relazione tra sintomo e causa
L’Arte di Vivere
Viviamo in un mondo che approva i sentimenti di rancore e di vendetta. In una forma o in un’altra gli uomini sono quasi sempre in guerra. La guerra è lo strumento estremo per la risoluzione dei conflitti. La guerra tra le nazioni viene sobillata da chi all’interno dei singoli stati non è in pace con se stesso.
Si dichiarano anche guerre per tentare di risolvere alcuni problemi, «guerre» alla povertà, alla droga, all’analfabetismo, alla fame. Onoriamo con la preghiera chi ha predicato il perdono, sosteniamo di amare e rispettare i grandi maestri di spiritualità e i loro insegnamenti, ma quando si tratta di mettere in pratica concretamente quel precetto, scegliamo la vendetta e la guerra.
Le fucilate a Betlemme il giorno di Natale e quelle a Gerusalemme la domenica di Pasqua sono tristi moniti che ci ricordano che spesso paghiamo un tributo di ipocrisia al perdono, mentre continuiamo a crocifiggere i nostri nemici.
La vendetta è l’attuazione dei pensieri di condanna e colpevolizzazione: questi si manifestano nella mente, e la vendetta li attua nella forma; la traduzione in atto immobilizza chi la sceglie e viola il comandamento più sacro: non uccidere.
Eppure uccidiamo, un numero così alto di persone da essere incomprensibile, e costruiamo armi di enorme potenza distruttiva che possono incenerire intere città, con tutti i loro abitanti.

Mentre tutto ciò, per quanto appaia paradossale, fa pur sempre parte della perfezione dell’universo
ne fa anche parte il desiderio di porvi fine nutrito dalle persone pacifiche. Perciò mentre la violenza continua e si intensifica ci dobbiamo chiedere: «Quale lezione dobbiamo trarre, in quanto corpo complessivo dell’umanità che si sforza di imparare da tale situazione?»
La nostra esistenza e quella delle generazioni future dipendono dal trovare una risposta a questa domanda.
Ogni giorno ci giunge notizia di persone cui viene fatto del male “ferite, uccise, mutilate, violentate, derubate” e del desiderio di vendetta contro chi ha perpetrato tali azioni. I familiari delle vittime sono pieni di rancore e desiderosi di vendicarsi. L’odio fiorisce di pari passo con le richieste di punizioni che comportino una sofferenza analoga a quella subita dalle persone care.
Eppure anche quando la punizione viene inflitta, le vittime continuano a provare dolore, sofferenza e odio. Avvelenano il proprio animo con una rabbia che le mina, e non riescono a riprendere a vivere libere da questa nuova fonte di dolore. Non sono vittime soltanto del criminale, ma del proprio bisogno di vendetta.
Ricordo un caso di cui mi parlò Earl Nightingale. Mi colpì molto, facendomi comprendere appieno l’importanza del perdono. Una donna aveva perso l’unica figlia, in seguito a un atto di violenza criminale.
Per i successivi diciotto anni la donna fu consumata dal desiderio di ottenere vendetta, frustrato, secondo lei, solo dal fatto che nello stato in cui il colpevole era stato giudicato era stata successivamente abolita la pena di morte.
Per diciotto anni la madre non riuscì a vivere una vita normale. Durante quel periodo cercò sollievo alla propria infelicità in ogni modo possibile; alla fine fu l’atto del perdono a liberarla.
Andò a visitare e perdonò l’assassino della figlia, ancora in attesa che venisse ripristinata la pena di morte dopo diciotto anni, e descrisse quell’esperienza come un atto di amore per sé stessa, la figlia e l’assassino.
Dare la colpa agli altri per le condizioni in cui si vive ingenera rancore. Molte persone comuni e numerosi studiosi approvano l’ira, considerandola una reazione salutare al mondo; nella misura in cui è una delle molte emozioni (pensieri) che siamo capaci di provare come esseri umani, sono d’accordo.
Una persona che non si arrabbiasse mai sarebbe altrettanto improbabile di un cielo sempre sereno. Il problema sorge quando ci attacchiamo deliberatamente o senza riserve a questo sentimento, e scopriamo di non poter o di non esser disposti a liberarci dal rancore, dal desiderio di vendetta e dall’abitudine a giudicare.
Non sono d’accordo con chi picchia i figli per insegnar loro a non picchiare gli altri, né credo che l’espressione della rabbia sia sempre terapeutica. Non credo neppure nell’efficacia di attribuire agli altri la colpa del mio stato psicologico.
Ti consiglio di essere gentile con te stesso e di amarti, indipendentemente da come il resto dell’universo ti risponde. Cerca di non attaccarti all’idea che gli altri dovrebbero essere diversi da come sono, e sforzati di comprendere che seguono la propria strada, che l’opinione che ne puoi avere tu non ha nulla a che fare con il loro comportamento.
Sii pieno di amore persino verso chi ti potrebbe fare del male, come ci hanno insegnato tutte le grandi guide spirituali dell’umanità, e guardati dentro per vedere se provi ancora rabbia e desiderio di vendetta.
È difficile solo se sei attaccato all’idea che il mondo sia diverso da come è.
Se puoi accettare anche ciò che non vorresti e sai trasmettere amore e non odio, non avrai più bisogno di nutrire rancore. Non avrai più bisogno di «fare i conti», anzi ti scoprirai incapace di rimanere attaccato alla rabbia, o di farti bloccare da quei pensieri.
Quando imparerai ad avere, cioè in definitiva a essere, pensieri armoniosi, e non di discordia e divisione, ti accorgerai di non provare più rabbia.
Una volta che avrai smesso di condannare e incolpare e ti sarai assunto la responsabilità di tutto il tuo mondo interiore, anche la rabbia si dissiperà. Infine quando te ne sarai completamente liberato, la tua vita non sarà più distorta dal bisogno di vendetta. Non sceglierai più di dare il controllo della tua esistenza a chi ritieni ti abbia fatto del male.
Attraverso l’atto del perdono proverai un senso di pace e rimarrai sul sentiero dell’illuminazione. Se un numero sufficiente di persone adottasse nella vita quotidiana il precetto del perdono, forse un giorno anche la nostra politica estera cambierebbe.
Oggigiorno vi sono dei giovani che muoiono per vendicare i loro antenati. Combattono nella Terra Santa, che Gesù ha percorso a piedi predicando il perdono. E una guerra interminabile.
Che cosa vuole provare? Dove conduce? Alla pace? Sicuramente no!
I vinti rispondono vendicandosi e in queste battaglie per antiche inimicizie le perdite umane continuano a salire. Puoi cominciare a cambiare la situazione a partire da te stesso, adottando il principio universale del perdono, imparando a superare l’odio come risposta all’odio e trasmettendo in sua vece pace.
Perdonare non è debolezza, è un gesto di coraggio. La lotta logora chiunque vi partecipa. Tutto ciò contro cui ti opponi ti indebolisce in qualche modo. Come la Fisica Moderna ci insegna «Non farti sopraffare dal male, ma vinci il male con il bene»
Perché entrambe sono facce della stessa medaglia, quando comprenderai questa espressione di un finto duale vedrai, sentirai, comprenderai che la soluzione migliore, che non è detta che sia la più buona o peggiore, ma la migliore per la tua Consapevolezza intrecciata con le persone a TE Connesse.
Devi solo perdonare e non comportarti mai in modo che tu stesso disprezzi. Come ci dice un antico proverbio cinese: «Chi insegue la vendetta dovrebbe scavare due tombe».
(Wayne W. Modificato by Francesco Ciani)
