Luigi Oreste Speciani, l’asma non era una malattia
Per i suoi lavori in pneumologia e tisiologia, diceva spesso che l’asma non era una malattia, ma solo il sintomo di uno squilibrio dell’organismo, che poteva dipendere da uno stress emotivo, come da una forma di irritazione intestinale cronica, dalla presenza di parassiti intestinali o dall’inquinamento.
Già allora esprimeva insoddisfazione per cure che andavano solo a controllare il sintomo, senza mai interagire a fondo con le sue reali cause.
Un’insoddisfazione che ogni medico di segnale deve fare propria, concentrandosi sulle cause delle patologie invece che sulla semplice soppressione dei sintomi.

Quei sintomi, molte volte, non sono altro che il segnale di profondo disagio di un organismo costretto a fare fronte a un sovraccarico di allergeni che non è più in grado di tollerare.
Le malattie autoimmuni spesso sono solo “scalini successivi” legati ad un sovraccarico originario elevato a cui sono seguiti ripetuti maldestri e disfunzionali tentativi di soppressione sintomatica che hanno a tal punto approfondito il problema da generare un grave squilibrio immunitario.
Incominciare a studiare le malattie autoimmuni secondo questo paradigma può offrire cura e guarigione a molti, evitando la dipendenza e gli effetti collaterali da farmaci di cui potrebbero non avere alcun bisogno.

Cibo e immunità
Uno dei punti cardine dell’immunologia era la divisone tra molecole self e molecole non-self.
Tempo ed esperimenti hanno dimostrato che la situazione non è così semplice: esistono alcune sostanze che stimolano la risposta immunitaria a causa della loro struttura (per esempio componenti come l’LPS, un componente chiave presente nelle membrane dei batteri GRAM negativi) mentre alcune sostanze pur essendo anch’esse “antigeni non-self” necessitano di sostanze definite “adiuvanti” in grado di stimolare una risposta immunitaria efficace.
Il già citato “Danger Model” di Polly Matzinger guarda alla questione da un punto di vista nuovo: non c’è una netta divisione tra self e non-self ma l’immunità e la tolleranza verso certe sostanze sono parte di un meccanismo dinamico che “sceglie” se una sostanza sia da considerare pericolosa o non-pericolosa basandosi su “segnali di pericolo”.

Le cellule dendritiche sono una popolazione di cellule che si occupa di fagocitare antigeni dall’esterno per presentarli alle cellule responsabili dei processi difensivi: i linfociti e i CTL (linfociti T citotossici). Verso questi antigeni potrà esserci una risposta immunitaria o potrà non esserci: in tal caso verrà indotta tolleranza.
Un’ipotesi del meccanismo attraverso il quale viene indotta tolleranza o immunità è presentato in uno studio pubblicato nel 2005 su Immunological Review che ha rilevato che la risposta immunitaria o la risposta di tolleranza dipende dalle sostanze (definite “adiuvanti”) con le quali gli antigeni sono fagocitati: se vengono fagocitati da soli dalla cellula dendritica viene favorita la tolleranza nei loro confronti.

Se invece vengono fagocitati e contemporaneamente la cellula dendritica percepisce attraverso recettori i “segnali di pericolo” viene favorita una risposta di allarme immunitario. Sarebbero quindi le cellule dendritiche, basandosi su questi “segnali di pericolo”, a scegliere se presentare come pericoloso o come innocuo l’antigene ai linfociti.
Questi “segnali di pericolo” possono essere esogeni (componenti di batteri, ad esempio) ma possono anche essere endogeni e uno studio rileva come questi “adiuvanti” possano essere semplici componenti cellulari fuoriusciti (a causa di un danno cellulare) nel liquido extra cellulare, allertando le cellule dendritiche. Ecco dunque che danni cellulari ripetuti possono esprimere potenzialmente una risposta autoimmune.
Secondo alcuni studi le molecole rappresentanti “segnali di pericolo” sarebbero recepite dai TLR (Toll-Like-Receptors).

I TLR sono recettori molto conservati nell’evoluzione in grado di reagire a strutture tipiche dei patogeni, come avviene ad esempio durante un’infezione. Un’attivazione dei TLR perciò corrisponde ad un “segnale di pericolo” per le cellule dendritiche e dunque favorisce una reazione immunitaria nei confronti degli antigeni presentati dalla cellula dendritica ai linfociti, in quell’occasione.
Alcuni studi molto recenti pubblicati su “The British Journal of Nutrition” e su “Food and chimica toxicology” hanno dimostrato una forte correlazione tra l’alimentazione e l’attivazione di TLR.
E’ perciò possibile che l’assunzione di alcuni cibi (magari ossessivamente ripetuta) sia vista come un “segnale di pericolo” da alcune cellule e possa indurre, nel fisiologico processo di verifica degli antigeni cellulari da parte delle cellule dendritiche, una risposta immunitaria al posto di una di tolleranza nei confronti di antigeni normalmente presenti su cellule sane, ovvero antigeni self.

Ecco quindi un possibile collegamento tra l’assunzione di cibi con rilevanza per il sistema immunitario (per esempio nel caso dell’infiammazione da cibo) e patologie autoimmuni, in particolar modo se si parla di patologie autoimmuni dipendenti dall’azione dei CTL (linfociti T citotossici).
Sarà quindi più probabile che nelle operazioni di controllo da parte delle nostre cellule, in caso di infiammazione da cibo, il nostro sistema immunitario sia indotto a cadere in errore, segnalando allarme anche quando non ve ne sarebbe bisogno.
Food sensitivity e malattie autoimmuni, insomma, sono molto più correlate tra loro di quanto non si pensi. Questi dati evidenziano come la prevenzione dell’infiammazione da cibo meriti tutta l’attenzione del mondo scientifico per le sue molteplici implicazioni sulla salute dell’individuo. Ignorare queste correlazioni significa non disporre di tutte le armi per prevenire o contrastare queste patologie.

Bibliografia: Medicina di Segnale
