La guarigione è integrazione
Completamento di (parti 5 – 6 -7 – 8)
5. Attaccamento alla forma.
Se credi di essere il tuo corpo, e che quando questo se ne va, anche tu finisci, ti stai incamminando verso una vita di sofferenze.
Rughe, calvizie, calo della vista, tutti i segni del declino fisico ti procureranno una sofferenza in diretta proporzione all’attaccamento all’idea di rimanere sempre uguale. L’attaccamento al corpo può creare un modo di vivere artificiale e pauroso che ti impedirà di seguire la tua strada e di essere responsabile del tuo destino.
L’attaccamento al corpo come strumento di realizzazione della vita si risolve in un infinito preoccuparsi del proprio aspetto fisico. E un attaccamento alla confezione che ci contiene, che oscura la conoscenza che il corpo è una forma temporanea che occupiamo.
Curarci esclusivamente dell’aspetto esteriore ci impedisce di vedere che la nostra vera essenza è l’entità senza forma che risiede all’interno del corpo. Più sei attaccato al corpo e alle apparenze, meno possibilità hai di distaccarti dalla forma e di scorgere la divinità che è il vero te stesso.
La dipendenza patologica dalla forma impedisce a molti anche solo di prendere in considerazione l’incorporeità che costituisce l’elemento fondamentale dell’umanità.
Paramahansa Yogananda in The Divine Romance ha formulato il problema in questo modo:
I santi dicono che devi trattare il corpo come una residenza temporanea. Non essergli attaccato o fartene confinare. Renditi conto del potere infinito della luce, che è dietro a questo cadavere della sensazione.
Mi piace l’espressione «questo cadavere della sensazione». Si riferisce al corpo, schiavo delle regole della forma, sempre ostacolato dal fardello dei dolori, dei bruciori, delle ossa che si sgretolano e dei foruncoli che si formano.
Ma dentro, dove sei pensiero astrale senza forma, sei puro e libero dagli ostacoli che dominano il mondo della forma. L’attaccamento al corpo equivale a un attaccamento alla sofferenza che non si vuole abbandonare.
Distacco dal corpo non significa non avere cura della perfezione della forma. In realtà, paradossalmente, ha per risultato una maggior attenzione a questo involucro che ospita l’AnimA.
Ho scoperto che da quando sono meno attaccato all’aspetto fisico mi prendo molta più cura del mio corpo, mantenendo un peso corretto, facendo ginnastica, riposando a sufficienza, evitando cibi poco sani.
Ora posso rimanere a distanza e guardare il corpo passare per i processi dell’invecchiamento senza avere l’impressione che il mio essere, il mio Io, si stia deteriorando. Da quando sono meno attaccato al corpo non sono più preoccupato per le sue infermità.
Di conseguenza queste hanno molto meno bisogno di manifestarsi. In seguito a questo distacco il corpo mi procura molti meno fastidi.
Perciò apprezzo la mia forma e la sua perfezione, e so di essere più di questo corpo.
Lo amo e lo rispetto, ma non mi identifico con il mio essere fisico. «Essere nel mondo, ma non del mondo», disse Gesù.
Sono nel corpo, ma non del corpo, e ironicamente questa consapevolezza mi aiuta a occupare il mio involucro con molta maggior efficacia di quando, appena qualche anno fa, ero esclusivamente del corpo.
6. Attaccamento alle idee e all’aver ragione.
Questo è uno degli attaccamenti di cui è più difficile liberarsi.
Si può considerare «l’aver ragione» la «malattia terminale dell’Occidente». Ogni giorno per varie ore seguo programmi radiofonici in cui gli ascoltatori, da ogni parte dell’America, chiamano per dire la loro su un certo argomento.
Ho osservato che quasi tutti quelli che telefonano a una radio per discutere il tema del giorno sono attaccatissimi alla loro idea e alla possibilità di dimostrare che gli altri hanno torto.
Sembra inaudito che si possa ascoltare un altro punto di vista con la mente aperta. Le persone sono quasi sempre abbastanza educate e rimangono in silenzio durante il tempo in cui l’altro parla, poi ignorano qualsiasi cosa abbia detto e ripetono pari pari la propria posizione.
Raramente ho sentito qualcuno dire: «Ha fatto un intervento convincente.
Ripenserò all’opinione che avevo prima di chiamare».
L’attaccamento all’aver ragione crea sofferenza perché raramente serve a comunicare con gli altri. Se non riesci a comunicare, sicuramente soffrirai nei tuoi rapporti con gli altri. Le persone non vogliono che gli si dica quel che devono pensare e che hanno torto se non sono d’accordo.
Quando incontrano un atteggiamento di questo tipo automaticamente ti escludono dalla coscienza e fra te e loro si leva una barriera.
Se sei la persona che viene esclusa perché sei incapace di ascoltare, questo avviene perché sei così attaccato alla tua opinione che insisti nel voler dimostrare che chiunque non sia d’accordo con te ha torto.
Un attaccamento di questo tipo rende quasi impossibile mantenere in piedi un rapporto d’amore, perché erige continuamente nuovi confini tra le persone. Per ogni idea della cui giustezza sei assolutamente convinto, ci sono milioni di persone che la ritengono sbagliata.
Questa dicotomia fra ragione e torto getta il mondo in un vespaio metafisico.
Quando incontri una persona che la pensa diversamente da te, e cerchi di spiegarle quanto abbia torto, in realtà definisci solo te stesso. La tua posizione molto probabilmente renderà l’altro ancora più inflessibile nelle sue opinioni. Incontri di questa natura finiscono quasi sempre con i due interlocutori più che mai fermi nella convinzione di aver ragione.
Per essere distaccato devi sapere che le dicotomie torto – ragione, giusto – sbagliato sono invenzioni umane. La ragione non esiste indipendentemente dall’uomo. L’universo è quello che è, funziona secondo i principi che abbiamo definito, ma funziona comunque, a prescindere dall’opinione che ne abbiamo.
Certamente va bene avere opinioni nette su ciò che si preferisce, ma nel momento in cui ci si attacca a queste idee e si definisce se stessi in base a esse, si esclude la possibilità di ascoltare un altro punto di vista.
Questo attaccamento alle proprie idee e a dimostrare che gli altri hanno torto è la storia dell’essere chiamato Essere Umano, e spiega infinite guerre, sofferenze e infelicità dall’inizio della storia che ci è stata tramandata.
Raramente le persone si fermano e ascoltano veramente ciò che l’altro ha da dire. Raramente cambiamo idea, in seguito alle solide argomentazioni presentateci da un altro.
E praticamente mai siamo capaci di accogliere simultaneamente nella mente due idee opposte; eppure è proprio ciò che devi fare se ti vuoi risvegliare a un nuovo livello di coscienza umana:
la consapevolezza interiore che si può accogliere simultaneamente un punto di vista opposto al proprio, e che non c’è bisogno di dimostrare agli altri che hanno torto.
E di questo che parlano gli esseri davvero illuminati. Uno dei più grandi romanzieri americani, F. Scott Fitzgerald, ha detto:
Il test di un’intelligenza di prim’ordine è la capacità di accogliere simultaneamente nella mente due idee opposte conservando nel contempo la capacità di vivere. Si dovrebbe per esempio poter vedere che le cose sono senza speranza e tuttavia essere determinati a migliorarle.
È questo ciò che significa essere distaccati, consentire a opposti punti di vista di risiedere nella mente allo stesso tempo e vedere la meravigliosa bellezza di tale atteggiamento.
7. Attaccamento al denaro.
Questo attaccamento è ormai, quasi una malattia fatale che ha assalito il mondo occidentale. E importante chiarire che non sostengo che si debba odiare il denaro. Credo fermamente che avere denaro sia un vantaggio nella vita, e non ho niente da dire sui soldi.
Il denaro di per sé è buona cosa e lavorare per guadagnare fa parte della vita nel mondo di oggi. Ciò cui mi riferisco invece è l’attaccamento al denaro, tale che questo diventi il fat-tore dominante della vita.
Essere distaccati dall’acquisizione di denaro è un’impresa difficile. E tuttavia è importante riuscire a diventarle, se vuoi sentirti in grado di compiere delle scelte nella vita.
Ho verificato che le persone capaci di fare quello per cui si sentono portate e di rimanere concentrate su questo obiettivo, riescono a procurarsi sempre il denaro di cui hanno bisogno.
Non soffrono però della malattia dell’accumulazione, che è così diffusa nella nostra cultura.
Essere distaccato dal denaro significa concentrare le tue energie nel fare ciò che ami e che ti fa sentire realizzato e lasciare che il denaro arrivi, senza lasciarti consumare dal desiderio. Il distacco è la consapevolezza che non sei il tuo conto in banca.
Se senti di dover avere denaro per sentirti felice e realizzato, allora sei attaccato. Il bisogno di aver di più significa che ora non ti senti intero, che ti manca qualcosa.
Tu lo chiami più soldi. Questo qualcosa che ti manca fisserà la tua concentrazione sull’ottenere quel ti manca, e non sull’essere qui ora, e fare ciò che vuoi veramente. E naturalmente ciò a cui pensi si espanderà.
Dal momento che ciò che vedi ora nella tua vita è il risultato di ciò che credi, forse varrebbe la pena che modificassi le tue idee, se noti non si rivelano utili in rapporto al denaro.
Chiediti: «Il denaro mi ha portato la soddisfazione che mi aspettavo?»
Se la risposta è no, e ti sembra di non poter cambiare le tue convinzioni, allora esamina le cose cui queste sono attaccate.
Un modo per farlo è l’introspezione e/o la meditazione. Chiedi a te stesso che cosa rappresenta quell’idea e affidati alla risposta che otterrai. Può trattarsi di un problema differente dall’attaccamento al denaro, e certamente è così quando sei insoddisfatto anche quando hai denaro.
Si potrebbe fare un’analogia con una persona che crede di essere affamata e che dopo aver mangiato sente ancora fame.
Credere che il cibo sia la soluzione crea un attaccamento che non potrà mai soddisfare la fame. L’attaccamento al cibo o al denaro rafforza un tentativo inevitabilmente destinato a fallire di soddisfare un desiderio profondo.
Quando siamo attaccatissimi a qualcosa e preferiremmo non esserlo, perché non ci dà soddisfazione, dobbiamo esaminare che cosa rappresenta quell’attaccamento.
8. Attaccamento alla vittoria
È quasi una tossicodipendenza nella nostra cultura, ma fino a quando rimarremo attaccati al bisogno di vincere, continueremo ad andare incontro a sofferenze. Voglio ribadire ancora una volta che non sono contrario a vincere, di per sé: mi piace come a chiunque altro, in particolare quando mi cimento in gare atletiche.
Ma la prova che ci si è risvegliati spiritualmente in questo caso è rappresentata dal non aver bisogno di vincere. Quando siamo attaccati alla vittoria, questa diventa un’ossessione e soffriamo quando non riusciamo a ottenerla. Una grande prova di carattere è il modo in cui reagiamo quando perdiamo.
Se stiamo partecipando a un gioco competitivo e il nostro avversario segna più punti, ovvero vince, che cosa abbiamo veramente perso?
Assolutamente nulla. Siamo usciti all’aria aperta e abbiamo giocato una partita. Se siamo sicuri di questa verità ci è facile congratularci con gli avversari e sentirci felici per loro quanto lo saremmo stati se avessimo vinto noi.
L’attaccamento alla vittoria fa sentire moltissime persone perdenti. Conservare questo attaccamento significherà sentirsi dei perdenti per buona parte della vita, dal momento che nessuno può vincere sempre.
Vincere è sottoporsi a un giudizio. Quando lo accettiamo stiamo accettando regole del gioco decise da altri, che stabiliscono che cosa sia perdere e vincere.
Considerarlo il risultato di regole stabilite da altri può essere un modo per partecipare al gioco senza essere attaccati all’idea di vittoria. Possiamo continuare a trarre piacere dalle mosse felici e imparare da quelle meno riuscite, o semplicemente partecipare.
Possiamo considerare vincere e perdere solo una regola in più alla quale scegliamo o meno di attenerci. Attaccarsi alla vittoria significa identificarsi con il proprio punteggio o la propria prestazione.
Ne deriva sofferenza, quando ci sentiamo perdenti.
Paradossalmente, qualunque sia il gioco, più distaccati siamo più probabilità abbiamo di vincere. Cioè meno siamo tesi alla vittoria, più possibilità abbiamo di conseguirla.
(Wayne W.)