La guarigione è sempre legata alla comprensione
Secondo stadio: nel mezzo del cammin…. (parte 2 di 3)
A mano a mano che diventiamo spiritualmente più vivi, cominciamo a usare la facoltà di creare il nostro mondo attraverso il pensiero in modo molto più trascendente.
Guardando indietro possiamo quasi sempre vedere il beneficio che abbiamo tratto da un’esperienza dolorosa. Il divorzio che pensavamo di non superare ci sembra ora la cosa migliore che ci sia capitata. Le crisi giovanili che parevano portarci sull’orlo del suicidio ci sembrano ora una parte naturale del nostro sviluppo.
Il periodo in cui ci eravamo messi a bere autodistruggendoci, ci appare ora come la prova più importante della nostra vita, perché ci ha insegnato quanta forza interiore ci fosse in noi, anche se allora, nei giorni dell’alcolismo, ci sembrava di rovinare tutto ciò che contava.
Ora possiamo vedere nella bancarotta del passato la spinta necessaria che ci ha portato a cambiare vita; in una grave malattia che abbiamo superato possiamo leggere il messaggio che ci ha indotto a riesaminare le nostre priorità e a rallentare il ritmo. Con il senno di poi riusciamo a scorgere le opportunità celate negli avvenimenti della nostra vita passata.
La seconda fase è la tappa intermedia dell’illuminazione perché in questo stadio non abbiamo più bisogno di considerare gli avvenimenti a posteriori per vedere le opportunità che contengono.
Cominciamo a essere consapevoli già sul momento dei vantaggi di ciò che ci succede.
Smettiamo di pensare continuamente a ciò che ci manca e di essere catastrofici sul futuro. Ci chiediamo invece:
«Quale frutto posso trarne? Come posso volgere questa situazione in un’opportunità, senza dover passare per anni di sofferenza per giungere a riconoscere che tutto questo è necessario?»
È un passo importante nel processo di illuminazione, e ci aiuta a vedere come «l’unica canzone» sia veramente sincronizzata. Certamente, proviamo ancora dolore e sofferenza, ma sappiamo anche che vi è in essi qualcosa di grande.
Riusciamo a essere gentili e tolleranti con noi stessi, e a onorare e amare anche la parte di noi che sta creando la crisi.
Probabilmente non capiremo mai razionalmente perché l’avvenimento doloroso ci colpisca proprio in quel momento, ma almeno intuiamo che anche questa esperienza ha valore.
Ho sentito Ram Dass descrivere i sentimenti provati durante la malattia che portò alla morte l’amata madre adottiva. Si domandava perché fosse necessario che soffrisse così tanto nello stadio avanzato del melanoma.
Sapeva in fondo al cuore che la sofferenza faceva parte del viaggio, e che conduce sempre a qualcosa di più grande, ma questi dolori terribili, che colpivano una donna bellissima che lo amava così tanto …
Perché? A mano a mano che la donna si avvicinava alla fine, Dass notò che era divenuta più serena e la vide illuminarsi di tranquillità e gioia.
Mentre si apprestava ad abbandonare la forma sembrava entrare in una nuova sfera, uno stato di beatitudine.
La sofferenza era finita, dal momento che i dolori sono provati dai sensi nella forma. Era libera e Ram Dass, osservando la scena, si disse: «Sì, persino questo ci eleva».
Vide che la sofferenza stava portando la madre verso qualcosa di più grande, e non dovette aspettare molto per rendersene conto. Quando la donna morì, si era riconciliato con l’idea della sua scomparsa, perché sapeva che la morte è un premio, non una punizione.
Anche lui avvertiva un senso di pace, consapevole che il dolore conteneva in sé una grazia.
Il secondo stadio comporta dunque l’essere presenti a sé stessi, vivendo pienamente tutto ciò che si prova, invece di passare lunghi periodi a soffrire prima di scoprire il frutto nato dalle difficoltà di non potere finire la mia gara.
Così rimasi concentrato sul momento che stavo vivendo, e mi chiesi quale frutto o opportunità fosse nascosto in quella prova. Misi da parte la sofferenza e mi chiesi sinceramente se volevo davvero tornare a casa senza aver completato ciò che mi ero proposto.
Potevo in qualche modo fare appello alle mie risorse interiori e trovare la volontà (attraverso il pensiero) di correre per altri otto chilometri?
Qualcosa mi investì proprio in quel momento, qualcosa che posso solo descrivere come un miracolo. Sentii che ero là, disteso nel caldo e nel vomito, per scoprire se avevo il coraggio di fare una cosa che al momento sembrava impossibile.
In quel momento otto chilometri mi sembravano cinquecento.
Eppure, con il pensiero, compresi che potevo trasformare quella situazione in un’opportunità positiva e crescere come essere umano, trascendendo le condizioni fisiche. Nel mio corpo avvenne una vera e propria metamorfosi.
Tutto d’un tratto, nell’istante in cui mi permisi di sfruttare l’opportunità di scoprire di quanta forza disponevo, dallo stato di completo esaurimento in cui mi trovavo, cominciai a sentirmi forte.
Mi tirai su, dissi agli infermieri dell’ambulanza di aiutare qualcun altro e mi avviai verso il traguardo a otto chilometri di distanza. Entrando in Atene mi accorsi che le difficoltà non erano ancora finite.
La strada non era stata chiusa al traffico e quindi dovevamo correre sulla striscia centrale della bretella dell’autostrada, con le auto che ci passavano accanto, e i poliziotti che tentavano di tenerle lontano.
Eravamo avvolti dai fumi più velenosi che avessi respirato in vita mia.
Le auto cambiavano corsia proprio di fronte a noi che correvamo e i guidatori ignoravano le suppliche degli agenti che tentavano di dirigere il traffico; il caldo aumentava.
Eppure, davanti a ogni nuovo ostacolo, la mia determinazione sembrava rafforzarsi, le gambe non mi tremavano più e i crampi erano cessati.
Conclusi la gara. Arrivai al traguardo nonostante avessi passato quasi mezz’ora sdraiato a terra.
Finii nel primo terzo dei concorrenti che avevano concluso la competizione, complessivamente la mia classificazione migliore, anche se con il tempo più alto di tutte le altre gare cui avevo partecipato.
Ma il tempo non importava, e neppure le congratulazioni e le medaglie.
Avevo imparato qualcosa di prezioso su me stesso, e non avrei dovuto aspettare molti anni per sapere quale grazia ci fosse in quella sofferenza. Questo breve verso tratto da Reflections From the Saul (Riflessioni dall’anima) di Raymond riassume bene i miei pensieri:
Dal fango i bei fiori di loto dai travagli qualcosa più alto si libera.
Quando possiamo afferrare qualcosa di più alto nel momento stesso in cui viviamo l’esperienza, progrediamo sulla strada che ci porta al terzo e ultimo stadio del risveglio spirituale, la fase della pura sincronicità, in cui giochiamo un ruolo molto più attivo nella creazione del nostro mondo.
(Wayne W.)