Epilessia cittadini di frontiera tra i mondi

Domande  1. Quali grandi correnti contrarie si urtano nella mia anima?  2. Quali possibilità di scarico dell'energia bloccata mi concedo, oltre agli attacchi epilettici?  3. Dove avrei bisogno di rompere l'argine della mia anima?  4. Posso lasciarmi andare senza freni? 

Malattia Linguaggio dell'AnimA

L’epilessia si manifesta attraverso quegli attacchi spaventosi che ben conosciamo.

La parola «attacco» indica che un individuo è aggredito da qualcosa, qualcosa di estraneo che viene dal di fuori. In diverse culture, ad esempio quella indiana, questa malattia è interpretata come una manifestazione del divino che da un’altra dimensione irrompe negli individui.

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Gli indiani ritengono che entità spirituali sconosciute entrino nelle persone colpite: considerano la crisi come una lotta tra due demoni per un unico corpo. Anche la nostra medicina più antica utilizzava per l’epilessia il nome di Morbus sacer, cioè malattia sacra.

I fenomeni di possessione sono noti anche da noi, ma neppure la psichiatria, che dovrebbe conoscerli, se ne vuole occupare.

La possessione, e soprattutto l’esistenza degli spiriti, si adatta così poco alla nostra visione del mondo, che preferiamo far passare questi eventi sotto silenzio.

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Ignorare i problemi, però, non influisce sulla loro esistenza.

Nei casi non così rari di epilessia, in cui si dovrebbe parlare di possessione, ci si trova comunque di fronte a un problema psichiatrico, che dovrebbe essere affrontato al pari di ogni altra malattia di questo tipo, cioè con metodologie fondamentalmente diverse.

La classica grande crisi epilettica viene definita dalla medicina grand mal, termine francese che significa «grande male» o «grande malattia».

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Ad essa contrappone il petit mal, o «piccolo male»

cioè la crisi che si manifesta senza convulsioni e in cui il soggetto perde conoscenza per un breve periodo. In entrambe le denominazioni è presente l’idea che l’attacco sia frutto di qualcosa di cattivo, che può provenire tanto da fuori quanto da dentro.

I fenomeni che si manifestano a livello fisico vanno interpretati come tutti gli altri sintomi; in questo caso però ci si ritrova continuamente confrontati con la malattia psichiatrica. Tra tutti i tipi di epilessia la manifestazione più importante è costituita dalla perdita della conoscenza.

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I pazienti se ne vanno, sono realmente assenti.

La loro coscienza abbandona il corpo, esce da questa realtà per entrare in un’altra nella quale non sanno orientarsi e di cui, in generale, non riescono a riportare alcun ricordo.

Anche la loro sofferenza si distingue dai problemi puramente fisici, poiché nei momenti decisivi loro sono assenti.

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Se l’attacco viene considerato da un punto di vista fisico, esso ci appare come una specie di terremoto.

Dopo una breve aura 59, che si manifesta di quando in quando e che annuncia ai malati l’avvicinarsi del minaccioso avvenimento, questi cadono a terra svenuti. La pressione del sangue precipita e la respirazione è all’inizio quasi inesistente. Talvolta all’inizio i pazienti lanciano un grido.

Subito dopo arrivano le convulsioni, la bava fuoriesce spesso dalla bocca e i malati possono arrivare a mordersi la lingua, urinare e defecare. Si cerca allora di proteggerli dai loro stessi morsi mettendo loro un pezzo di gomma tra i denti affinché non si lacerino lingua e labbra.

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Le pupille sono dilatate e prive di reazione, fisse come quelle di un morto.

I presenti hanno la precisa sensazione che i malati siano arrivati alle ultime contrazioni. Dopo alcuni minuti di questa spasmodica battaglia, la loro energia è esaurita, le convulsioni cessano e i pazienti cadono in un sonno profondo, detto terminale, dal quale si risvegliano indeboliti, stanchi e spesso con emicranie.

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Tra gli attacchi epilettici di minore entità c’è una serie di crisi parziali, caratterizzate da un senso di stordimento di tipo onirico e da deliri. Si può arrivare a immaginazioni false, alla perdita dell’orientamento, a uno stato di eccitazione fisica e addirittura ad azioni violente.

La malattia si può manifestare inoltre attraverso stati depressivi, di esaltazione, mania suicida, fino a manifestazioni strane, come la smania di fuggire o una inarrestabile loquacità.

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Per interpretare i singoli sintomi, vorrei prendere in considerazione un avvenimento che appartiene al macrocosmo e che, nella sua simbologia, corrisponde da diversi punti di vista all’attacco grand mal: il terremoto.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte a forze enormi che si scaricano in un movimento di tipo regressivo.

La terra trema finché le tensioni più potenti non siano esaurite, per arrivare, poi, dopo scosse di minore entità, allo stato di quiete.

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La meccanica dei fatti e la distruzione che ne segue sono talmente simili, che si potrebbe pensare che la terra abbia subito un attacco epilettico. Sarebbe anche possibile chiamare entrambi con lo stesso nome, poiché ogni terremoto è certamente una grande disgrazia agli occhi di chi ne è colpito.

Ci dobbiamo però chiedere se questo sia vero anche agli occhi della terra, specie considerando le origini del terremoto. I movimenti tellurici colpiscono le zone sismiche della superficie terrestre e sono causate dal fatto che due falde opposte scivolano l’una accanto all’altra.

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Poiché i loro margini non sono omogenei, si arriva a una situazione di forte instabilità.

Se l’arco è troppo teso, tutte le tensioni che si sono accumulate per decenni si scaricano attraverso sommovimenti di tutti i tipi.

San Francisco, che si trova precisamente sulla faglia di Sant’Andrea, è paragonabile a un malato di epilessia in attesa del prossimo attacco. I sismologi non erano rimasti soddisfatti dal terremoto del 1990, che era sembrato loro troppo debole per bilanciare le enormi tensioni accumulate dall’ultimo grande sisma.

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I ricercatori hanno dichiarato nelle loro argomentazioni che la terra necessita di tali movimenti per liberarsi delle proprie tensioni interiori. Allo stesso modo anche i pazienti hanno bisogno di scaricarsi: l’epilessia non costituisce affatto un’eccezione, anche se provoca danni terribili al sistema nervoso.

Una terapia che determina l’insorgere di sintomi analoghi a quelli della crisi epilettica sarebbe l’elettroshock.

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Con questo metodo, la psichiatria del tempo passato cercava, attraverso forti scariche di corrente somministrate sotto narcosi, di ottenere miglioramenti nei pazienti psichiatrici.

Il tutto assomigliava a un esorcismo celebrato per espellere Belzebù. L’esperienza mostrava, però, che gli spiriti cattivi talvolta si allontanavano soltanto per breve tempo.

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Esternamente l’elettroshock appare come un attacco epilettico creato artificialmente, oppure si può anche dire che un attacco epilettico è un elettroshock naturale.

Di fatto, l’attacco grand mal è un fenomeno elettrico, determinato da una scarica eccessiva, improvvisa e rapida dei neuroni cerebrali, con la quale l’attività elettrica del cervello viene messa a tacere. Contemporaneamente anche la coscienza del paziente viene spenta da una potenza superiore.

Si pone allora la seguente domanda: da chi e a quale scopo?

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La risposta più profonda non può essere desunta dai sintomi fisici, poiché la causa essenziale riguarda la coscienza: noi però conosciamo ben poco di ciò che avviene a quel livello, inaccessibile alla coscienza vigile.

I sintomi esteriormente visibili ci consentono tuttavia di accedere alle condizioni che fanno da cornice alla malattia e al compito insito in esse. L’aura, cioè il segno premonitore della crisi, insegna ai pazienti a prestare molta attenzione agli indizi, soprattutto a quelli che provengono da un’altra sfera.

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Spinti dal bisogno, i malati imparano a valutare il significato imminente di tali segnali, anche se non possono né capirli né spiegarli.

La crisi, caratterizzata da episodi convulsivi, è la rappresentazione di una lotta. In ogni battaglia si contrappongono sempre almeno due partiti rivali. Come nel terremoto entrano in collisione due faglie, nelle persone colpite da epilessia sembrano scontrarsi due mondi opposti. Gli spasmi sono espressione del loro attrito.

La coscienza lotta contro un altro piano inconsapevole e soccombe molto rapidamente.

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Il fatto che gli indiani accettino l’idea dell’intrusione di una realtà spirituale nella vita quotidiana è ammissibile quanto la possibilità che nella nostra esistenza possa irrompere un altro mondo spirituale.

In ogni caso, il compito sembra essere quello di concedersi alla lotta tra i due mondi e di essere preparati ad affrontarla non appena i segni, anche quelli più irrilevanti provenienti dall’altra realtà, ci esortano a farlo.

Se il contatto con l’altra parte, che la malattia impone a forza, si verificasse liberamente, il corpo ne risulterebbe alleggerito.

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L’attacco epilettico evidenzia la tensione che i pazienti hanno accumulato dentro di sé: hanno la bava alla bocca, fatto che proverbialmente dimostra quale è la loro reale situazione.

Se sbavano dalla rabbia o a causa di un qualsiasi altro tipo di energia, significa che qualcosa, che per molto tempo è rimasto bloccato dentro di loro, vuole uscire. Nasce a questo punto l’ovvio sospetto che essi abbiano finora vissuto da bravi borghesi, trattenendo la loro bava.

Per questo la crisi, che consente loro di scaricarsi fino in fondo, è anche, rilassante. Oliver Sacks descrive gli attacchi epilettici come qualcosa che «avanza a passi misurati insieme a sensazioni di libertà e di autentico benessere».

Nei quadri clinici di cinque pazienti diversi si parla di eruzioni vulcaniche e di draghi che sputano fuoco.La tendenza, causata dalla contrazione muscolare, a mordersi la lingua, dimostra il livello di tensione che caratterizza l’inizio dell’attacco:

è preferibile staccarsi la lingua con un morso piuttosto che rivelare qualcosa, questa è la situazione a cui gli epilettici rischiano di arrivare.

«Mandar giù un boccone amaro» significa essere impotenti di fronte a qualcosa e permettere che avvenga, «non mollare l’osso» significa non rinunciare a ciò che si desidera, qualunque sia il prezzo da pagare.

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Gli epilettici rivelano la loro ostinazione trattenendo qualcosa tra i denti

non lasciano trapelare niente dalle labbra eccetto la bava e le grida. Piuttosto che lasciar andare qualcosa preferiscono procurarsi da soli delle ferite.

Dalla caduta e dal deliquio iniziali traspare la richiesta di liberare energia e di lasciarsi andare. Si tratta di cedere davanti a un’altra forza, con la quale non si può competere con i mezzi abituali. I pazienti scelgono a livello inconscio il modo in cui cedere (cioè sottomettersi) drasticamente al proprio destino.

La necessità di arrendersi viene rafforzata dagli altri sintomi.

La diminuzione della pressione del sangue dimostra che il malato non deve affatto combattere per riportare qualche successo, ma al contrario deve rassegnarsi e affidarsi a forze più potenti.

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La tematica della liberazione della tensione bloccata si rispecchia in una perdita involontaria di urina. La vescica è l’organo più sensibile a una pressione che risulta eccessiva per noi.

Utilizziamo quindi ogni occasione possibile per svignarcela e per scaricare ciò che ci opprime in un posticino tranquillo, dove non temiamo confronti.

Il quadro dell’attacco presenta, dopo la battaglia iniziale, una liberazione su tutta la linea, completata dall’azione dell’intestino che si lascia andare a un’involontaria defecazione.

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Gli escrementi provengono direttamente dall’oltre tomba del corpo, da quella terra delle ombre in cui domina Plutone, dio dell’Ade, il regno dei morti.
Considerato in questi termini, tale sintomo offre l’opportunità di alleggerire sia se stessi che il proprio rapporto con gli inferi almeno per una volta in assoluta sincerità di fronte a tutti senza vergogna.

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I temi oscuri, qui bloccati, conquistano, durante la crisi, la luce del giorno che altrimenti sarebbe loro negata proprio a causa del loro profondo contenuto simbolico. In conclusione, è necessario riconoscere anche in questo sintomo l’esigenza di lasciare tutto ciò che è materiale sotto di sé e dietro di sé.

In fin dei conti si profila un quadro di mancanza di inibizioni che, crisi epilettica a parte, nella vita del soggetto non avrebbe alcuna possibilità di realizzarsi. Anzi, la scrittura pedantesca di alcuni malati di epilessia rivela un ordine creato dal bisogno di auto-controllo.

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Lo stato iniziale di quiete nella respirazione, la cosiddetta apnea, lascia supporre che Io stato prodotto dalla crisi non sia di questo mondo.

La respirazione è l’espressione chiara del nostro legame con la polarità, con il mondo dei contrari. I due poli dell’inspirazione e dell’espirazione ci incatenano ad esso dal primo all’ultimo istante della nostra esistenza. Con il primo respiro facciamo il nostro ingresso su questa terra, con l’ultimo ne siamo già fuori.

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Con le recenti ricerche effettuate sulle condizioni al momento del trapasso, è stato dimostrato che quando le persone smettono di respirare, vivono esperienze che concordano tra loro in modo sconcertante, ma che, d’altro canto, non appartengono a questo mondo60.

In seguito a studi fatti su persone in profonda meditazione, è stato possibile stabilire che le esperienze che avvengono al di fuori del corpo, in un nitro mondo spirituale, sono correlate a fasi in cui la respirazione è ferma.

A ciò contribuiscono anche le pupille dilatate e prive di reazione, che si comportano come se l’individuo fosse già morto.

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Il fatto che siano dilatate, forse a causa della paura e del grido iniziali, può indicare che i pazienti hanno inizialmente, di sfuggita, come in un lampo, l’impressione di un altro piano, che suscita in loro profondo terrore o un incredibile stupore.

Si grida, in genere, di fronte a qualcosa di orrendo, di repellente, che supera le nostre forze, più raramente di fronte a qualcosa di incantevole. Anche la respirazione può fermarsi in seguito a uno spavento. Un grido di aiuto è tipico di questa situazione, analogamente all’urlo primordiale che può erompere dalle dimensioni più profonde del soggetto. Il neuropsichiatra Oliver Sacks ricorda che anche Dostoevskij soffriva occasionalmente di aure epilettiche estatiche e cita quanto segue:

«Ci sono dei momenti, che durano solo cinque o sei secondi, in cui si sperimenta l’esistenza di un’armonia divina … La terribile luminosità con la quale essa si manifesta e l’estasi di cui essa riempie l’uomo, sono spaventose.

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Se questo stato durasse più di cinque secondi, l’anima non lo potrebbe sopportare e dovrebbe fuggire via.

In questi cinque secondi ho vissuto un’intera vita umana e sarei pronto ad abbandonare ogni cosa senza pensare di aver pagato troppo per questo … »61

Anche l’elettroencefalogramma sostiene le interpretazioni che vedono nell’attacco l’impatto con qualcosa di immane. L’attività elettrica propria del cervello cessa improvvisamente. I dispositivi di sicurezza fondono e una forza molto più forte prende il sopravvento.

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Il sistema nervoso dei pazienti non è in grado di sopportare in stato di consapevolezza la forza della nuova corrente.

Siamo chiaramente vicini all’interpretazione che gli indiani danno della crisi epilettica, secondo la quale nell’epilessia si manifesta una forza divina.

Anche noi conosciamo queste idee dalla Bibbia, quando gli uomini non sopportano lo sguardo diretto di Dio, e vengono messi in guardia dall’affrontarlo. Come minimo si può constatare che nell’attacco epilettico si produce una forza di gran lunga superiore a quella dei pazienti.

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Né il sistema nervoso né la coscienza sono all’altezza di sopportarla.

È come se si verificasse una commutazione improvvisa da una corrente alternata a una industriale. Secondo le esperienze raccolte con la terapia della reincarnazione, con l’epilessia ci si trova soprattutto di fronte all’irruzione di forze oscure e superiori.

Che dopo tutto ciò i pazienti abbiano bisogno di dormire è comprensibile. Quel sonno profondo e ancora quasi incosciente, che non rigenera, ma addirittura stanca, dimostra che le esperienze ad altri livelli devono essere ulteriormente portate avanti, oppure integrate in un processo che consuma le forze, motivo per cui occorre una rigenerazione.

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È ovvio che la testa faccia male dopo la crisi; in definitiva le è stato richiesto di svolgere un compito esagerato, sia per l’energia che in esso è stata consumata sia, probabilmente, per il suo contenuto.

I pazienti recuperano le forze solo lentamente dopo il lungo viaggio ai confini della loro coscienza. In seguito sono relativamente rilassati e non si ricordano quasi di niente.
Dal fatto che in ogni grand mal alcune cellule del cervello vengano distrutte, possiamo trarre la conclusione che a lungo termine i soggetti si allontaneranno dalla propria testa e dalla propria volontà.

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Tale realtà è confermata anche dai quadri clinici di persone che soffrono di epilessia da molto tempo e che possono mostrare un rallentamento delle attività cerebrali che può arrivare fino alla demenza.

I sintomi della crisi petit mal vanno ancora oltre nel campo della psichiatria; ne accenniamo soltanto per sottolineare il fatto che muovono nella stessa direzione.
Dietro le assenze si nascondono stati crepuscolari che rapidamente si impossessano del paziente.

La semi-incoscienza o crepuscolo è una situazione di passaggio da un piano all’altro: dal giorno alla notte o dalla veglia al sonno e viceversa. Le assenze costringono i pazienti a superare questi punti di passaggio tra i livelli, in questo caso tra lo stato di veglia e il sogno, o meglio, tra Io stato di veglia e il sonno.

Il compito è allora chiaro

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Diventare consapevoli dell’esistenza di queste zone di penombra, per imparare a rivolgere volontariamente la propria attenzione verso di esse e per diventare cittadini dei due mondi.

Anche le apparizioni illusorie sono esperienze che provengono da un altro mondo. Il paziente che ha allucinazioni ottiche, vede qualcosa che nessuno oltre a lui è in grado di percepire. Lo stesso vale per le forme di allucinazioni acustiche, olfattive e tattili62, Il paziente evidentemente può e deve imparare a integrare nella vita queste altre dimensioni della sua realtà.

Poiché con le immagini illusorie ci si trova di fronte a manifestazioni dell’ombra, i compiti che per lungo tempo sono stati repressi al di fuori della coscienza devono essere (ri)conosciuti e integrati.

Questo rapporto è ancora più evidente nei casi di delirio. Qui penetra l’ombra più pura, cioè quella più tenebrosa, che la psichiatria si limita a definire presenza estranea. Nel delirio si manifesta naturalmente tutto quello che i pazienti nella loro vita borghese non conoscono.

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Per molti aspetti sarà addirittura l’opposto.

Questo fatto però non lo rende una presenza estranea, ma rivela che fa parte della realtà più profonda del paziente stesso: rappresenta la sua ombra, il suo altro lato oscuro.

Quando esplodono «atti di violenza incontrollabili e senza senso», viene svelato, da un lato, che il paziente ha tenuto le sue energie sotto controllo per tanto tempo e in modo così totale che la loro unica via di uscita è stata quella di farsi largo con la forza.

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D’altro lato si evidenzia che queste azioni, rapportate alla sua esistenza borghese, non hanno alcun senso; se però sono messe in relazione con la totalità della sua esistenza, rappresentano il suo altro lato oscuro, e da questo punto di vista acquisiscono maggior significato.

Questa metà tenebrosa avrebbe evidentemente dovuto continuare a condurre una vita d’ombra, come già aveva fatto per un periodo fin troppo lungo, al punto che con un colpo di scena si è spinta alla luce della coscienza.

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Rientrano in questo contesto anche alcune aure più rare, quelle in cui le voci diventano sempre più forti e pressanti e la coscienza del soggetto viene eliminata una volta raggiunto il culmine della crisi.

I sintomi della fuga epilettica rispondono a esigenze specifiche. Il paziente è chiaramente rimasto per troppo tempo sulla stessa posizione, nello stesso luogo o legato allo stesso tema. Ora è indubbiamente spinto a farsi strada e visitare nuovi ambienti e altri mondi.

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L’espressione epilessia loquace spiega chiaramente il messaggio che questo tipo di crisi vuole lanciare

il malato non sceglie, in questo caso, di mordersi la lingua piuttosto che aprire la bocca. Il tempo dell’aristocratica e inibitrice riservatezza è finito.

Si è mantenuto calmo per molto tempo, ma ora ogni resistenza è stata abbattuta e la corrente a lungo bloccata defluisce nelle chiacchiere.

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Il sintomo rappresenta una rottura dell’argine, e da questo punto di vista tutti gli attacchi epilettici sono simili: sono come brecce di argini, che mettono in moto parti dell’essere finora trattenute.

Unirsi alla potente corrente dell’energia vitale e lasciar fluire liberamente le proprie energie, o meglio, permettere loro di scaricarsi, fa parte certamente del compito che dobbiamo svolgere con priorità assoluta, compito che si manifesta attraverso l’avvenimento epilettico.

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D’altro canto, qui è compreso anche l’invito ad aprirsi ad altri livelli, in particolare a quelli a cui il normale stato di coscienza non è in grado di accedere.

La malattia ci parla di nuovi piani di coscienza, dei mondi del sogno e della fantasia, ma anche di apertura medianica verso altre dimensioni spirituali.

In pratica risulta di grande aiuto molto di quello che, a prima vista e in accordo ai principi allopatici, sembrerebbe addirittura sbagliato. La terapia intensiva della respirazione, che non si arresta di fronte alle situazioni in cui le convulsioni interiori trovano espressione all’esterno, ha dato buoni risultati.

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Rappresenta una possibilità di prevenire le contrazioni, in quanto affronta volontariamente il principio dello spasmo e scarica gradualmente le contrazioni del mondo fisico e di quello dell’anima.

Anche un orgasmo vissuto pienamente ha dei paralleli e una certa affinità con un attacco. Anche in questo caso le energie si scaricano sotto forma di onde attraverso il corpo, pur se il punto focale è nel basso ventre e non nella testa. Anche la psicoterapia interpreta la crisi epilettica come uno spostamento di forze dall’alto verso il basso.

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I pazienti non osano liberare tutte le loro energie sui piani inferiori, in genere descritti come sporchi, e spostano l’avvenimento, per così dire il grande orgasmo, al piano della testa, che ai loro occhi appare più pulito.

Una vita sessuale intensa, che permette all’energia di fluire e di esplodere, è di conseguenza una terapia efficace contro l’epilessia.

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L’aspetto essenziale, però, è cedere volontariamente alle tendenze indicate dalla crisi, divenire cittadini di frontiera tra i mondi, intraprendere consapevolmente viaggi negli altri piani della realtà, che includono anche il regno delle ombre, e abbandonarsi alla forte corrente della vita.

Domande

1. Quali grandi correnti contrarie si urtano nella mia anima?
2. Quali possibilità di scarico dell’energia bloccata mi concedo, oltre agli attacchi epilettici?
3. Dove avrei bisogno di rompere l’argine della mia anima?
4. Posso lasciarmi andare senza freni?
5. Quali segni di un altro piano ho ricevuto e ignorato?
6. Come potrei dare volontariamente spazio dentro di me alle ombre?
7. Sono capace di abbandonarmi ad altre forze?
8. Quale rapporto ho con il mondo trascendente al di là della nostra abituale percezione di tempo e spazio?
9. Posso immaginare di diventare un cittadino di frontiera tra i mondi?

59Con aura, in questo contesto, vengono indicati brevi preallarmi che precedono l’attacco vero e proprio. Ci sono aure sensitive, cioè a carico della vista, ma anche altre a carico dell’udito, del gusto e dell’olfatto.60Cfr. i lavori di Elisabeth Kubler-Ross e di Raymond Moody.
61Oliver Sacks, Der Mann, der seine Frau mit einem Hut verwechselte, Hamburg, 1987.
62 Le allucinazioni acustiche confrontano con un udito illusorio, quelle olfattive con un odorato dello stesso tipo, quelle tattili col tatto e infine anche le allucinazioni del gusto.

(Dott. Rudiger Dahlke

Alessia Vescillo
Alessia Vescillo
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