Endorfine dal movimento
L’effetto antidepressivo della corsa è scientificamente ben documentato. Muoversi rappresenta l’essenza della nostra natura di uomini. Rinunciare a farlo significa contrarre un debito nei confronti della nostra salute, che presto o tardi passerà a chiedere il conto.
Quando si prescrive attività fisica come terapia ci si scontra spesso con rigidità e blocchi psicologici che affondano le loro radici nelle nostre basi culturali e che talvolta rendono difficilissimo avvicinare le persone al movimento.
La storia della nostra evoluzione parla chiaro: nelle piccole comunità nomadi del Paleolitico, costituite da cacciatori-raccoglitori, il movimento era pane quotidiano.

Ciascuno doveva muoversi per diverse ore al giorno: per cercare cibo, per cacciare, per spostarsi da un luogo all’altro, per fuggire dagli animali feroci, per cercare un nuovo rifugio notturno, per attraversare un fiume.
Dopo la pubblicazione del brillante lavoro di Dennis Bramble e Daniel Lieberman (7) – è chiaro come l’uomo sia nato per correre, non per stare fermo.
La nostra struttura scheletrica, le modalità di consumo energetico, le capacità di smaltire il calore prodotto sono quelle di un efficientissimo corridore di lunga durata e senza tali modifiche strutturali e metaboliche oggi non saremmo uomini ma solo primati quadrumani, come le scimmie.

L’uomo si è distaccato dagli altri primati modificando le proprie abitudini alimentari, sessuali, sociali e di linguaggio grazie a un comune denominatore corporeo di adattamento alla corsa di resistenza. In altre parole, solo la capacità di correre a lungo ci ha permesso di distaccarci dal “resto del gruppo” cambiando poi a poco a poco anche cervello, apparato digerente, corde vocali.
Quanto affermato non può lasciarci indifferenti. Sapere che il nostro organismo non solo è stato progettato per correre, ma anzi ha trovato nella corsa il mezzo per distaccarsi funzionalmente dai primati affini deve farci riflettere.
Come ci sarebbe impossibile vivere al buio (essendo il nostro corpo adattato alla luce) se non perdendo la nostra salute, così dobbiamo capire che ci è impossibile vivere senza muoverci.

L'uomo
La corsa fa parte di noi, della nostra storia, del nostro corpo, del nostro equilibrio psicofisico.
Il sedentario sta rinunciando a qualcosa che è stato centrale nella sua storia evolutiva. Prendere coscienza di come la corsa faccia parte del nostro bagaglio psicofisico non è automatico o elementare.
Uno dei “trucchi” più efficaci con cui l’evoluzione ha piegato il nostro organismo ai suoi scopi è stato quello di farci “piacere” (attraverso lo stimolo di percorsi neurali di ricompensa) ciò che ci era utile.
È chiaro a tutti come un ominide a cui non piacesse mangiare si sarebbe rapidamente estinto per fame. Ma l’uomo “corridore” in tutto questo cosa c’entra?

La domanda che dobbiamo porci è la seguente: “Quali sono le modificazioni cerebrali con cui l’evoluzione ci ha forgiato affinché la corsa ci piacesse al punto di non poterne fare a meno?”.
Perché l’uomo, oltre ad avere le capacità tecniche di animale adattato alla corsa di resistenza, dispone anche di un cervello che – a differenza di quello dell’antilope – non ragiona di solo e puro istinto ma è capace di prevedere, immaginare, scegliere.
Ogni volta che corriamo sperimentiamo il cuore che batte forte, il vento che ci scompiglia i capelli, i muscoli che cantano, mentre le endorfine prodotte invadono dolcemente le sinapsi del nostro cervello. Al di là della sensazione di piacere, ciascuno di noi probabilmente sa che muoversi con regolarità comporta vantaggi notevoli per il nostro organismo.

Tra i tanti benefici alcuni sono strettamente connessi con il controllo dei sintomi depressivi:
◗ il movimento migliora l’efficienza cardiocircolatoria;◗ aumenta l’efficacia dell’insulina;◗ previene la stitichezza;◗ mobilizza i grassi di riserva;◗ aumenta la secrezione di ormoni utili;◗ migliora la qualità del sonno;
◗ riduce lo stress (riduzione del tono simpatico);◗ genera euforia e analgesia attraverso l’autoproduzione di endorfine cerebrali;◗ produce cannabinoidi endogeni rilassanti naturali come l’anandamide;
◗ riequilibra le nostre risposte nervose grazie alla produzione di serotonina;◗ riduce rapidamente e naturalmente i sintomi della depressione. Nessun altro “farmaco” ha contemporaneamente tutti questi effetti positivi

Attività fisica
D’altronde è del tutto logico: se il nostro organismo è evoluto muovendosi, ciò significa che la normalità della nostra vita prevede un’intensa e prolungata attività fisica. Se stiamo fermi e sedentari, gli anormali siamo noi.
Uno studio pubblicato sugli Archives of Internal Medicine (9) ha dimostrato senza ombra di dubbio che un programma di allenamento fisico anche moderato ha effetti sulla depressione del tutto paragonabili a quelli dei più efficaci farmaci di sintesi.
Su 150 persone testate, di età compresa tra i 50 e i 77 anni, i miglioramenti sono stati del tutto simili sia nel gruppo trattato con farmaci (sertralina) sia nei due gruppi sottoposti a 4 mesi di allenamenti mirati (40 minuti 3 volte la settimana), con o senza farmaci.

I pazienti sottoposti a esercizio fisico hanno migliorato sensibilmente la loro capacità respiratoria rispetto a prima dell’esperimento.
La maggiore ossigenazione (che sposta il rapporto ossigeno/anidride carbonica a favore del primo) è in grado di influenzare un altro equilibrio, questa volta di tipo nervoso, tra due neurotrasmettitori: il GABA (acido gamma-amminobutirrico, inibitorio) e l’acido glutammico (eccitatorio).
Il nuovo equilibrio tra neurotrasmettitori può dunque incidere profondamente sul nostro umore e la nostra vitalità, senza bisogno di alcun farmaco. Nel giugno 2008 questi dati sono stati ulteriormente confermati da un lavoro (10) che ha dimostrato come l’azione antidepressiva di 30 minuti al giorno di corsa sia già evidente dopo soli sette giorni di “cura”.

Un altro studio ancora più interessante è quello svolto da Jacobs e Formal nel 1995 (11). I due studiosi della Princeton University hanno rilevato come i neuroni serotoninergici abbiano un’attività minima quando si è sedentari, ma siano attivati potentemente non appena incomincia un’attività motoria muscolare.
Muovere i grandi muscoli del nostro corpo ci riporta quindi a un’attivazione neuromotoria primordiale che lavora sullo stesso neurotrasmettitore la cui presenza ci calma e rilassa profondamente (12).
Molti altri lavori scientifici hanno correlato la produzione di neurotrasmettitori cerebrali all’effetto analgesico o emotivamente gratificante dello sforzo fisico.

Serve gradualità
La produzione di endorfine e di encefaline è stata descritta da Goldfarb, da Grossman e da Farrell in diversi studi.
E altre ricerche sulle endorfine hanno rilevato il dato, è proprio il caso di dire stupefacente, che la potenza delle endorfine naturali è fino a dieci volte maggiore rispetto all’effetto esplicato da oppioidi sintetici come la morfina.
Infine come non citare il dato, riportato da numerosi autori, che rileva come il movimento migliori la sensibilità insulinica?
Questo significa che l’organismo delle persone attive può utilizzare molta meno insulina per abbassare la glicemia.

Poiché gli sbalzi insulinici, come si è visto, rappresentano un pericoloso circolo vizioso che porta verso stati mentali depressivi, è evidente come la corsa e il cammino siano anche da questo punto di vista veri toccasana per coloro che presentano piccoli o grandi disturbi dell’umore.
Il messaggio sia chiaro: non basta muovere quattro passi nel parco – magari tesi e arrabbiati perché un’ora dopo c’è un incontro di lavoro – per ricavarne qualche beneficio.
È un intero stile di vita che va modificato: con l’abitudine a non lamentarsi, con l’attitudine al sorriso, con una maggiore consapevolezza della bellezza di ciò che abbiamo intorno.

Non serve rivoluzionare tutto in un giorno. Serve gradualità. Ma anche decisione e capacità di non dilazionare inutilmente l’azione. Chi dice “Domani incomincerò a…” avrà già compiuto un piccolo passo falso.
Lo afferma Jiddu Krishnamurti: i “tempi emotivi” non consentono dilazioni. O si incomincia oggi o stiamo già inventando scuse per il fallimento che prevediamo.
E non è un buon inizio. Serve essere graduali, flessibili, ma decisi nell’apportare cambiamenti importanti a stili di vita che riconosciamo non essere più in grado di soddisfare le nostre esigenze, e che forse nemmeno più ci assomigliano.

Bibliografia: Medicina di Segnale
7 Bramble DM, Lieberman DE. Endurance running and the evolution of Homo. Nature. 2004;432(7015):345-52.
9 Blumenthal JA, Babyak MA, Moore KA, Craighead WE, Herman S, Khatri P, et al. Effects of exercise training on older patients with major depression. Arch Intern Med. 1999; 159(19):2349-56.
10 Daley A. Exercise and depression: A review of reviews. J Clin Psychol Med Settings. 2008;15(2):140-7.
11 Jacobs BL, Formal CA (1995). Serotonin and behaviour: A general hypothesis. In: Bloom FE, Meltzer HY (eds). Psychopharmacology. The fourth generation of progress. New York: Raven Press, 1995: pp. 461-9.
12 In proposito si veda anche: Speciani L. Lo zen e l’arte della corsa. Milano: Correre, 2010.
