Cuore alimentazione grassi colesterolo

Anche il fatto che latte e burro siano associate con un’aumentata mortalità da cardiopatia coronarica sarebbe forse da interpretare: quale latte? Da quali allevamenti? Da quali mucche?

La guarigione è integrazione

Quanto scritto in precedenza ha già fornito alcune indicazioni sulle malattie cardiache, sia a livello di prevenzione; vedi i capitoli su terra diatomacea, zolfo, magnesio, vitamina D, nonché le relazioni sul lavoro del dottor Price che mostra come la dieta moderna a base di cereali raffinati, zucchero e cibi in scatola abbia causato un’epidemia di malattie cardiache.

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Nel trattare il problema della disbiosi è stato già accennato a come essa possa essere causa o concausa di malattie cardio-vascolari; ovviamente non vanno mai dimenticati i problemi di intolleranza al latte, quello dei parassiti, dei focus dentali, della malocclusione etc.

L’articolo The influence of the human microbiome and probiotics on cardiovascular health

Chirurgia, Ospedale, Medico, Cura, Clinica, Malattia

(“L’influenza del microbioma umano sulla salute cardiovascolare”) rivisita la letteratura scientifica pre-esistente ed è categorico nello stabilire l’associazione dello stato del microbioma con i problemi cardiovascolari e quindi il potenziale utilizzo terapeutico dei probiotici.

Chi avesse ancora dubbi oltre all’articolo in questione può consultare tutti gli altri articoli in esso citati.

Similmente l’articolo Gut microbiota, diet, and heart disease condanna l’alimentazione moderna per il suo influsso negativo sul microbiota intestinale, che a sua volta produce effetti negativi anche a livello cardiocircolatorio,

Nell’articolo Far from the Eyes, Close to the Heart:

Dysbiosis of Gut Microbiota and Cardiovascular Consequences (“Lontano dagli occhi, vicino al cuore: la disbiosi del micro bioma intestinale e le conseguenza cardiovascolari) leggiamo tra l’altro che il microbiota che si trova tipicamente nel sangue delle persone diabetiche è stato osservato anche a livello delle placche ateerosclerotiche.

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L’articolo Vitamin D levels predict hospitalization and mortality in patients with heart failure

(“I livelli di vitamina D predicono l’ospedalizzazione e la mortalità nei pazienti con arresto cardiaco”) , mostra per l’appunto che la carenza di vitamina D è molto diffusa tra i pazienti che vanno in arresto cardiaco, e che bassi livelli di vitamina C sono fortemente correlati con l’aumento dei ricoveri in ospedale e con la mortalità dei pazienti.

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Ma altri studi sul rapporto tra salute del cuore e vitamina D portano a risultati non altrettanto ottimistici

la spiegazione potrebbe essere quella data da S. Seneff ed illustrata in un capitolo precedente: dipende da quale forma di vitamina D viene considerata.

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Forse sono proprio i livelli di vitamina D3 solfatata ad essere importanti e non i livelli di vitamina D in sé e per sé; se fosse così la migliore soluzione sarebbe anche la più semplice: mezz’ora di esposizione al sole ogni giorno (fin quanto è possibile).

La dottoressa Campbell-McBride, nel suo libro Put your heart in your mouth

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(“Affida il cuore alla tua bocca”), consiglia per i problemi cardiaci la stessa dieta paleolitica che serve a risanare la disbiosi intestinale, ponendo l’accento sull’utilità dei grassi buoni (burro chiarificato biologico, olio di cocco, grassi animali non processati, olio di oliva estratto a freddo) per la salute del cuore.

Già 70 anni fa il dottor Weston Price mostrava come i popoli che conservano ancora le abitudini alimentari dei propri antenati, hanno incidenze pressoché nulle di problemi cardiaci.

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Una dieta paleo ed il risanamento dell’eventuale disbiosi e parassitosi possono quindi essere due possibili punti di partenza per affrontare anche i problemi cardiaci e cardiovascolari.

L’integrazione di magnesio, zolfo organico, terra diatomacea (ovviamente nelle dosi opportune) non può che essere utile anche a livello di prevenzione a meno che non ci siano controindicazioni particolari (per esempio in caso di disfunzione renale il magnesio è da evitare assolutamente).

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Ovviamente anche frutta e verdura cruda possono essere utili per contrastare le malattie cardiache, ed anche noci, mandorle, nocciole (sebbene in caso di disbiosi certi cibi potrebbero contribuire a nutrire la Candida e cmq troppo ricchi di Omega 6 e poco di Omega 3).

Se non si vuole o non si riesce ad approdare ad una dieta paleolitica si possono seguire i suggerimenti del libro di Stephen Sinatra The Sinatra solution – Rinforza il tuo Cuore con la Cardiologia Metabolica (Macro Edizioni).

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Molto interessante è anche la lettura del libro della cardiologa Jillie Collings Il cuore senza chirurgia (Spirali edizioni), nel quale si parla delle alternative non chirurgiche alla cura di molti problemi dell’apparato cardiocircolatorio (terapia chelante, ozonoterapia) e si evidenziano le scarsità di dati scientifici a favore di molte tecniche chirurgiche che vanno per la maggiore.

L’ozonoterapia in certi casi può essere d’aiuto ed è una tecnica assolutamente priva di effetti avversi; lo stesso dicasi della terra diatomacea, con la quale si potrebbe riuscire ad ottenere una pulizia delle arterie in maniera più dolce rispetto alla terapia chelante.

La pressione alta è uno dei fattori che contribuiscono ad innescare problemi cardiovascolari, ed è stato dimostrato in un capitolo precedente come tale condizione sia correlata alla disbiosi.

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Una menzione va fatta ai problemi degli alti tassi di omocisteina nel sangue, che sono spesso il risultato di una infiammazione a livello intestinale, la quale può essere causata anche da una sensibilità al glutine non celiaca.

Livelli alti di omocisteina sono secondo alcuni studi o dannosi per il cuore (ma non c’è ancora accordo nella comunità scientifica rispetto a tale ipotesi), e possono essere regolati in tempi abbastanza rapidi (circa tre settimane) assumendo le vitamine del complesso B, mentre in tempi più lunghi si può affrontare l’infiammazione intestinale.

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L’articolo The relationship of dietary fat and cholesterol to mortality in 10 years

The Honolulu Heart Program ci mostra che il grasso e il colesterolo assunti con la dieta hanno una significativa correlazione inversa con la mortalità totale.

Ciò vuol dire che meno se ne mangia e più si rischia di morire, ovvero che una maggiore percentuale di calorie assunte sotto forma di grasso diminuisce il rischio di mortalità complessiva. Per essere precisi aumenta il rischio di morire di cancro o di ictus, ed aumenta il rischio di mortalità per cardiopatia coronarica.

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L’articolo Differences in coronary mortality can be explained by differences in cholesterol and saturated fat intakes in 40 countries but not in France and Finland.

A paradox mostra che ci sono evidentemente altri fattori che causano la mortalità per cardiopatia coronarica dal momento che nelle popolazioni di Francia e Finlandia, a parità di livelli di assunzione di grasso e colesterolo, non si osserva la stessa correlazione diretta tra l’assunzione di queste sostanze e la mortalità per cardiopatia (gli autori sospettano che la differenza dipenda dal quantitativo di cibo vegetale o di olio vegetale mediamente assunto da quelle popolazioni, ma non è detto che sia la spiegazione corretta).

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Anche il fatto che latte e burro siano associate con un’aumentata mortalità da cardiopatia coronarica sarebbe forse da interpretare

Quale latte? Da quali allevamenti? Da quali mucche? Alimentate ad erba e lasciate libere di pascolare, o alimentate a mais (possibilmente transgenico), vaccinate, ingravidate continuamente in maniera innaturale, per non parlare degli ormoni che negli Stati Uniti si somministrano per aumentare la produzione del latte?

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Infine va notato che quando un organismo non riesce a smaltire le tossine (e gli animali di allevamento industriale sono di regola abbastanza carichi di tossine, per il cibo scadente che mangiano e la vita stressante che conducono, per non parlare dei farmaci che assumono fin troppo spesso, a volte anche somministrati in maniera preventiva) tende ad accumularlo nel grasso, per cui il grasso animale, che potrebbe essere sano di per sé, si trasforma in qualcosa di potenzialmente pericoloso.

Sarebbe bello fare delle statistiche anche presso i Masai, o almeno quei Masai che vivono ancora come una volta, basando gran parte della propria alimentazione su latte e sangue delle proprie bestie, che pascolano libere e felici senza essere soggette a vaccinazioni o curate regolarmente con antibiotici (e che hanno una salute invidiabile, come mostrava già quasi cento anni fa il dottor Weston A. Price nel suo libro) .

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Anche quando si parla di “grasso” e di “colesterolo” spesso non si fa distinzione tra grasso naturale, e grasso processato, grasso derivante da un cibo che proviene in ultima istanza da una catena di montaggio.

L’articolo Dietary fat and ischemic stroke risk in Northern Portugal mostra infatti che all’aumentare del consumo di grassi e di colesterolo diminuisce il rischio di ictus; fa eccezione la quantità di assunzione di acidi grassi trans che invece fa aumentare il rischio.

Gli acidi grassi trans sono proprio i grassi idrogenati, che spesso troviamo nel cibo processato e confezionato.

Ed ecco che l’ossessione per un cibo senza grassi fa perdere di vista la qualità del cibo stesso, come leggiamo nelle conclusioni dell’abstract dell’articolo Dietary fat consumption and health ci mostra.

Gli autori sospettano anche che la carenza di energia materna sia esacerbata da diete povere di grasso, ed è noto che la carenza energetica della donna porta ad un basso peso alla nascita.

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L’articolo Dietary fat intake and risk of type 2 diabetes in women ci informa che la quantità di grasso assunto con l’alimentazione non è associata con l’aumento del diabete di tipo 2 nelle donne, ma che gli acidi grassi trans (idrogenati, ovvero processati) aumentano il rischio e gli acidi grassi poli-insaturati diminuiscono il rischio.

Un altro studio che mostra la differenza fondamentale tra grasso sano e grasso malsano, tipicamente presente nei cibi industriali.

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L’articolo Fat intake and the development of type 2 diabetes ci informa che non esiste alcuna prova che il grosso aumento nel consumo di grassi in Oriente sia la causa scatenante dell’impennata di casi di diabete.

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