Nell’amore non siamo così unici come ci piacerebbe credere.
Pare che la gente abbia stili amorosi molto simili.
Dicendo stili amorosi, mi richiamo ai modelli usati nelle ricerche sull’amore.

Il concetto generale di «amore» viene distribuito in vari contenitori, come cura altruistica responsabile (agape), solidarietà pratica (pragma), intimità erotica (eros), e così via.
C’è anche l’aspetto di «mania», il sentimento ossessivo, tormentato che è tipico dell’amore romantico. Dobbiamo assolutamente indagare sul perché di questa eccezione.

Nella mania amorosa, e solo in essa, sembra darsi come un’indipendenza del cuore. Questo amore è qualcos’altro!
La «mappa amorosa» è uno degli espedienti con i quali la psicologia cerca di dare conto dei misteri dell’invasamento amoroso.

Ciascuno di noi cresce in un ambiente familiare in cui determinati tratti danno piacere, soddisfano bisogni, accentuano la vitalità.
Tali tratti formano uno schema, una mappa, ed è di questa che ci innamoriamo quando una persona che sembra possederne gli attributi attraversa la nostra strada.

«Crescendo, questa mappa inconscia prende forma e ne emerge a poco a poco una proto-immagine dell’innamorato o innamorata ideali pertanto, molto prima che il nostro vero amore ci passi accanto a scuola, al supermercato o in ufficio, noi ci siamo già costruiti alcuni elementi base del nostro innamorato o innamorata ideale».
Per gli junghiani, la mappa amorosa possiede tratti fortemente individualizzati, perché a provocare l’innamoramento e la sensazione che si tratti di una chiamata del destino è una complessa immagine che portiamo nel cuore.

Quanto più l’immagine è ossessiva e irresistibile, più ci innamoriamo pazzamente, il che intensifica la convinzione che sia il destino a volerlo.
Gli junghiani chiamano questo fattore archetipico, che distorce la mappa in direzione di una particolare persona, con il nome di Anima e Animus, cioè una parte di Te ci si riconosce a specchio.

Anima e Animus sono le parole latine che indicano l’AnimA (lato femminile del Sé) e lo Spirito (lato maschile del Sé);
pertanto, anche ammesso che il nostro cuore si innamori di un’immagine infantile composita, a strutturare la nostra mappa, permeandola con l’esperienza del miracolo e del mistero, c’è sempre una configurazione ignota.

Ecco perché, direbbero gli junghiani, l’amore è così travolgente.
Ti stende al tappeto mentre ti solleva al settimo cielo, fuori da questo mondo. L’esperienza dell’amore romantico trascende ogni condizionamento, pretende devozione al di là di ogni vincolo.
Per Platone, la «mania» era possessione da parte degli dèi, nella fattispecie di Afrodite e di Eros romantico.
L’amore romantico ha un sapore di fatalità, di destino, di karma. «Sei quella/o che aspettavo», «Gli altri/le altre non contano», «Sei l’unica/o», «Ho cercato tanto, e finalmente eccoti qua…», «Sei la mia buona stella».

Questa attrazione fatale, detta impersonalmente reazione biochimica e attribuita a feromoni subliminali, possiede una sua forza autonoma che trascende genetica e ambiente.
Tale sensazione, non importa se sia o non sia delirante, conferma in maniera convincente l’interpretazione junghiana dell’amore romantico.

C’è attorno al fenomeno un qualcos’altro che ha un fine e un senso e un alone di avventura e di mistero.
Per gli junghiani, mamma e papà sono proiezioni di AnimA e Animus. Se anche li imitiamo e imitiamo il loro stile amoroso, non siamo fotocopie.
Le fantasie abbelliscono la mappa, anzi diciamo pure che la disegnano. «L’amore romantico è inesorabilmente legato alle fantasie»: sono gli studi empirici sull’amore a sostenerlo.

Essenziale per l’amore romantico è l’idealizzazione, non l’imitazione; non la replicazione del noto, bensì l’aspettativa dell’ignoto.
Nello specchio della somiglianza vediamo soltanto la faccia del nostro gemello “l’altra parte di me” separata dentro ma riflessa nell’altro nello specchio della mania amorosa, vediamo qualcosa che è radicalmente altro, la faccia che non riusciamo a trovare, che non conosciamo e che sembra richiedere gli spasmi dell’amore romantico.

La mappa amorosa può spiegare le cose visibili, come i fianchi morbidi, le automobili e i cammelli, di potere ecc, ma l’amore si innamora anche di «qualcos’altro», che è invisibile.
Diciamo: «Lui/lei ha un non so che»; «Il mondo intero cambia, quando c’è lui/lei». Come pare abbia detto Flaubert:

«Lei era il punto di luce sul quale convergeva la totalità delle cose». Questo sulla mappa non c’è.
Se mai volessimo la prova lampante dell’esistenza del daimon che chiama, basta che ci innamoriamo una volta. Le fonti razionali dell’ereditarietà e dell’ambiente non sono abbastanza ricche da far scaturire il fiume in piena dello spasimo romantico.

Lì ci sei tutto intero, in nessun’altra occasione ti senti altrettanto sopraffatto dall’importanza del tuo essere e dal destino; in nessun’altra occasione ogni tuo gesto si rivela più chiaramente ispirato da un demone.
l’amore romantico potrebbe essere «concepito come una forza o un espediente per aiutare a creare o a potenziare il sé e l’individualità nel ritornare Uno». Le teorie psicodinamiche devono situare la chiamata dell’amore dentro il «sé» personale.

Ecco perché lo stile della mania amorosa rimane escluso dalle altre mappe dell’amore. La chiamata si cristallizza in quella persona la cui faccia ci chiama a ciò che ci sembra il nostro destino.
Quella persona diventa una divinità esteriorizzata, padrona del mio fato, signora della mia AnimA, come dicono i romantici, demoniaca e angelica insieme, alla quale devo aggrapparmi, dalla quale non posso separarmi,
non perché io sia troppo debole e fragile, ma perché lei, la chiamata, è troppo forte. È ovvio allora che sono tormentato, possessivo, dipendente, sofferente. Il daimon sta facendo a pezzi la mia mappa amorosa.

Noi, però, possiamo leggere le ricerche più aggiornate come prove a conferma dell’autonomia del daimon.
Il suo fuoco illumina precisamente il compagno o la compagna che ci vogliono per me, nel bene o nel male, a breve o a lungo termine, convincendomi che questa altra persona è l’unica e la sola e che questo evento è unico e irripetibile per acquisire Consapevolezza di Me e tornare ad essere completo da dentro, al di là che l’esperienza finisca.
L’AnimA ha percorsi che la mente potrebbe non accettare.

Gli altri stili amorosi tracciati nelle ricerche (condivisione, cura, solidarietà, intimità libidica) sono meno selettivi, meno personali.
Non si ostinano su questa particolare persona che incarna l’immagine che mi porto nel cuore. La mania amorosa vede ciò che è già contenuto nell’AnimA prima di venire al mondo.

Il filosofo spagnolo Ortega y Gasset dice che gli innamoramenti sono rari, se pensiamo a come è lunga la vita.
L’innamoramento è un evento raro e fortuito, che colpisce a una profondità incredibile. Quando accade, accade esclusivamente per la singolarità dell’oggetto:

quella persona, non un’altra. Non gli attributi e le virtù, non la voce o i fianchi o il conto in banca, non proiezioni residue di precedenti fiamme o modelli familiari trasmessi da una generazione all’altra:
semplicemente, l’unicità di questa persona che l’occhio del cuore ha veduto fra tante. Se manca quel senso di scelta fatale, il romanticismo non scatta.

Perché questo tipo di amore non è un rapporto personale o una epistasi genica, ma più probabilmente un’eredità demonica, insieme dono e maledizione degli antenati invisibili.
Un analogo senso del destino, anche se meno improvviso e meno ardente, e un’analoga devozione possono caratterizzare l’innamoramento per un luogo e addirittura per un lavoro, oltre che per una persona.

Non riusciamo a lasciarlo, dobbiamo rimanerci finché l’esperienza non è chiusa, e celebriamo riti devozionali per tenerlo vivo.
Si crea lo stesso incantesimo, mi viene la stessa sensazione di poter vivere con te per tutta la vita, e il mio «te» può essere una persona, un luogo, un lavoro. E c’è la stessa sensazione che qui sia chiamata in gioco non solo la mia vita o la mia morte.

Morte è una parola troppo pesante e incompatibile per associarla alle intense vibrazioni dell’amore romantico;
ma l’amore romantico più di tutti riverbera del senso dell’eterno e insieme della brevità e fragilità della vita, come se sulla passione romantica fossero sempre sospesi l’ombra e il respiro della morte, con il suo richiamo a un altrove che è «oltre» e senza confini.
Si affrontano rischi pazzeschi.

E quando la letteratura unisce gli amanti romantici, unisce anche il loro amore con la morte. L’occhio del cuore che «vede» è anche l’occhio della morte che vede al di là dell’apparenza visibile fino a un invisibile cuore.
E la autentica rivelazione si ha quando cadiamo in preda all’amore, perché allora siamo aperti a mostrare chi più autenticamente siamo, lasciando intravedere il genio della nostra AnimA.
Dice la gente: «Sembra un altro: deve essere innamorato».

«È innamorata: non sembra più lei». Quando l’amore smuove il cuore, si percepisce un qualcos’altro, nell’oggetto idoleggiato, che la lingua della poesia cerca di catturare.
L’incontro tra amante ed essere amato avviene da cuore a cuore, come l’incontro tra scultore e modello, tra mano e pietra.
E un incontro di immagini, uno scambio di immaginazioni.

Quando ci innamoriamo, incominciamo a immaginare al modo romantico, veementemente, sfrenatamente, follemente, gelosamente, con intensità possessiva, paranoide.
E quando immaginiamo intensamente, incominciamo a innamorarci delle immagini evocate davanti all’occhio del cuore:
come quando iniziamo un progetto di
lavoro, organizziamo una vacanza, prepariamo una nuova casa in un’altra città, portiamo avanti una gravidanza…

Le nostre immagini ci attirano sempre più totalmente dentro l’impresa avventata. Non riusciamo a venir via dal laboratorio, non smettiamo più di comperare altro equipaggiamento, di farci dare dépliant, di immaginare nomi. Siamo innamorati perché c’è l’immaginazione.
Liberando l’immaginazione, perfino i gemelli identici si liberano della loro identicità per comprendere sé stessi e ritrovarsi, comprendersi e unirsi di nuovo da dentro, per ricordare poi che eravamo già completi cosi come il Sole e la Luna erano già presenti in noi da sempre.
L’Amore è sovrapposizione di Coscienza.
James Hillman “Il Codice dell’Anima” modificato Francesco Ciani
