Ripristino ormonale e manifestazioni

Più della metà delle donne infertili hanno mostrato carenza di vitamine B6, B9, B12 e D, e carenza di iodio, ferro, zinco e selenio; nelle donne infertili si riscontrano inoltre alti livelli di stress ossidativo;

Relazione tra sintomo e causa

Nelle donne con PCOS, la resistenza all’insulina favorisce la sintesi di androgeni da parte delle ovaie. La produzione di androgeni può anche essere favorita da alti livelli di trigliceridi plasmatici, e dalla disregolazione nella produzione di adipochine (in particolar modo la leptina) da parte del tessuto adiposo.

Il rischio di infertilità è del 27% nelle donne sovrappeso, e del 78% in quelle obese, rispetto a donne normopeso; è stato calcolato che per ogni aumento di una unità di BMI, la probabilità di gravidanza spontanea si riduce del 10%.

Il fumo, un eccessivo consumo di caffè e alcool, la presenza di perturbatori endocrini influiscono negativamente sulla fertilità della donna, mentre l’assunzione di grassi trans è particolarmente negativa per la fertilità dell’uomo (Skoracka K et al. 2020).

ovaio policistico

Nell’uomo, sovrappeso e obesità si associano a ipogonadismo e aumento della temperatura testicolare, alterazioni della spermatogenesi, con ridotta produzione di spermatozoi, aumento del numero di alterazioni morfologiche, bassi livelli di testosterone e alti livelli di estrogeni, con disfunzioni erettili.

Anche in questo caso, alterazioni nella sintesi di adipochine con aumento della leptina favoriscono lo sviluppo di un ambiente infiammatorio che impatta negativamente sulla fertilità. Il rischio di infertilità è del 20% in uomini sovrappeso o obesi.

Anche per l’uomo, l’accumulo di tossici ambientali nel tessuto adiposo influisce negativamente sulla fertilità (Škurla M 2018). Inoltre, l’obesità può ridurre l’efficacia degli interventi di procreazione assistita. La perdita di peso e la chirurgia bariatrica possono favorire la fertilità, ma diete troppo restrittive possono avere anche effetti negativi.

Durante il percorso di calo ponderale, in individui sovrappeso e obesi in cerca di un figlio, è utile quindi sostenere il paziente con micronutrienti specifici a supporto della fertilità, nonché supportare il processo di detox epatico.

Più della metà delle donne infertili hanno mostrato carenza di vitamine B6, B9, B12 e D, e carenza di iodio, ferro, zinco e selenio; nelle donne infertili si riscontrano inoltre alti livelli di stress ossidativo; un adeguato apporto di acidi grassi Ω3 si correla a più alti livelli di progesterone e minor rischio di cicli anovulatori.

Folati e vitamine del gruppo B sono fondamentali per la qualità e la maturazione dell’ovocita, la fecondazione e l’impianto, il metabolismo dell’omocisteina, l’effetto antiossidante; lo zinco supporta l’ovulazione, lo sviluppo dell’ovocita e sostiene i sistemi antiossidanti;

il selenio regola la fase luteale e i livelli di progesterone, e ha effetti antiossidanti; la vitamina A è fondamentale per la qualità dell’ovocita, lo sviluppo dell’embrione e della placenta, e per le sue funzioni antiossidanti;

la vitamina D svolge un ruolo importante nell’embriogenesi, contrasta l’infiammazione e lo stress ossidativo, modula la sintesi degli ormoni sessuali; le vitamine C ed E regolano lo spessore dell’endometrio, modulano i livelli di progesterone e contrastano lo stress ossidativo;

il manganese sostiene i sistemi antiossidanti endogeni; lo iodio modula il metabolismo tiroideo, il metabolismo di estrogeni e androgeni e lo sviluppo dell’ovocita; il ferro è fondamentale per la qualità dell’ovocita e lo sviluppo della placenta (Schaefer E et al. 2019).

Gli acidi grassi Ω3 hanno effetti sulla qualità dell’ovocita e sull’impianto embrionale, migliorano la concentrazione e la morfologia degli spermatozoi e la loro motilità. Una metanalisi di 16 studi RCT ha dimostrato una correlazione positiva tra supplementazione di Ω3 e aumento della fertilità nell’uomo, con miglioramento della qualità degli spermatozoi (Hosseini B et al. 2019; Gaskins AJ & Chavanno JE 2018).

Un aspetto fondamentale è l’utilizzo, in supplementazione, delle vitamine B in forma attiva, già metilata, come nel caso della Vit. B9 in forma di 5-metiltetraidrofolato, e della Vit. B12 in forma di metilcobalamina: questo perché i pazienti con difetti di metilazione quali la mutazione dell’enzima MTHFR non sono in grado di utilizzare le forme non metilate.

Poiché l’iperomocisteinemia si associa a riduzione della fertilità, l’utilizzo di forme metilate contribuisce efficacemente ad abbassare i livelli di omocisteina in individui con ridotta attività enzimatica MTHFR. Consideriamo che i difetti della metilazione riguardano circa il 20% della popolazione italiana.

La supplementazione di micronutrienti specifici e antiossidanti prima del concepimento può quindi favorire l’ovulazione, la fecondazione e abbrevia i tempi di ricerca della gravidanza, anche durante il percorso di fecondazione assistita (Schaefer E et al. 2019).

Lo stress psicologico esercita un forte impatto sull’omeostasi energetica dell’organismo: l’eccessiva produzione di cortisolo durante periodi di stress prolungato contribuisce all’aumento di peso, in una società dove la disponibilità di cibo ad alto potere calorico e povero di micronutrienti è molto diffusa.

Da una recente metanalisi di 13 studi che hanno coinvolto complessivamente più di 160.000 persone è emerso che lo stress lavorativo influenza direttamente il BMI. Il cortisolo favorisce la trasformazione dei preadipociti in adipociti maturi, e contribuisce allo sviluppo di insulino resistenza (Incollingo Rodriguez AC et al. 2015).

A questo si associa la sempre più diffusa carenza di sonno, che contribuisce anch’essa all’aumento del cortisolo e dell’adiposità centrale, nonché alla riduzione del segnale adipostaticoleptinico e all’aumento del segnale oressigeno della grelina, con aumento del senso di fame e dell’intake di cibo.

In uno stato di stress cronico e di deprivazione di sonno, quindi, il cortisolo in eccesso favorisce l’accumulo di tessuto adiposo, soprattutto viscerale (Siervo M. et al. 2009).

Un altro aspetto importante è che la prolungata risposta al cortisolo nello stress cronico favorisce lo sviluppo di resistenza al cortisolo stesso, con aumento dell’infiammazione cronica (Tomiyama AJ 2019).

Lo stress cronico ha un forte impatto sul contenuto di micronutrienti nel nostro organismo: una recente revisione della letteratura ha sottolineato come alcuni minerali vengano facilmente “consumati” nell’individuo stressato e, per situazioni di stress prolungato, si vada incontro ad un aumentato rischio di carenza (Lopresti AL 2020).

Il magnesio, ad esempio, è uno ione fondamentale per l’equilibrio della sintesi dei neurotrasmettitori e per la modulazione degli effetti dello stress sul sistema nervoso. Il magnesio inibisce il rilascio di neuromediatori eccitatori, agisce come agonista del GABA (attività aumentata quando associato a taurina), aumenta il re-uptake del glutammato.

L’espressione del BDNF, riduce il rilascio di ACTH ed esercita un effetto soppressivo sul locus coeruleus; è inoltre cofattore della sintesi di molti neuromediatori (Kirkland AE et al. 2018). La carenza di zinco impatta sulla secrezione di cortisolo che risulta aumentata (Takeda A et al. 2016).

Bassi livelli di Ω3 EPA e DHA sono stati correlati ad alti livelli di CRH e di cortisolo; un recente studio RCT su 44 infermieri in burnout ha dimostrato che la supplementazione di 1 grammo/die di Ω3 (in rapporto 3:2 di EPA:DHA) per 2 mesi, riduce i livelli di cortisolo salivare (Thesing CS et al. 2018).

La vitamina C ha un effetto riequilibrante sull’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, riducendo la secrezione di cortisolo già con trattamenti di breve durata (3 grammi/die per 5 o 14 giorni); è necessaria, inoltre, alla sintesi dei glucocorticoidi (Moritz B et al. 2020).

È noto che l’ipertiroidismo è associato a perdita di peso e, al contrario, l’ipotiroidismo favorisce l’accumulo adiposo. Gli studi sono ancora contrastanti, ma sappiamo che nel soggetto obeso è alterato il feedback negativo dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide, e l’aumento del TSH plasmatico è direttamente correlato con il BMI.

Questa alterazione può essere associata alle alterazioni della secrezione di leptina che si osserva nel soggetto obeso (Giammarco M et al. 2018). Nel 20% dei soggetti obesi si riscontra inoltre ipotiroidismo o ipotiroidismo subclinico.

Si suppone che esista una resistenza periferica all’azione degli ormoni tiroidei, una ridotta attività delle deiodinasi 2 (con riduzione della produzione di T3 dal T4) e un aumento dell’azione della D1, con rapida inattivazione di T3.

È stato osservato che una riduzione del 10% di peso nella donna obesa riduce i livelli di TSH. Le alterazioni del metabolismo tiroideo osservate nel paziente obeso possono essere associate alla risposta infiammatoria cronica, favorita dal tessuto adiposo viscerale, che interferisce con l’asse ipotalamo- ipofisi-tiroide,

E alla risposta autoimmune mediata dalla leptina, che aumenta la risposta Th1 e favorisce la produzione di anticorpi anti tiroperossidasi, che si riscontrano elevati in più del 50% dei soggetti obesi (García- Solís P et al. 2018; Teixeira PFDS et al. 2020).

Se l’ipotiroidismo è causa o conseguenza dell’obesità non è ancora stato chiarito in via definitiva. Esistono due possibili ipotesi: la prima, dice che l’ipotiroidismo si manifesta per primo, e che la riduzione del dispendio energetico favorisce l’aumento del peso corporeo;

la seconda, che l’obesità insorge per prima, e l’infiammazione ad essa associata determina una alterazione del metabolismo tiroideo e l’insorgenza di autoimmunità, con progressiva riduzione degli ormoni tiroidei circolanti che alla fine riconducono alla prima ipotesi (García- Solís P et al. 2018).

Quale che sia la causa della disfunzione tiroidea, il supporto alla sintesi degli ormoni tiroidei nel paziente obeso con ipotiroidismo conclamato o subclinico è un intervento consigliato nell’ambito del programma di calo ponderale.

Una recente revisione sistematica e metanalisi ha analizzato diversi studi relativi alle carenze micronutrizionali nel funzionamento della tiroide, ed è emerso che, nei soggetti con ipotiroidismo, i livelli di zinco, di ferro e di selenio sono inferiori rispetto ai controlli sani.

Lo zinco e il selenio sono coinvolti nel metabolismo degli ormoni tiroidei. I pazienti con ipotiroidismo subclinico e ipotiroidismo non-autoimmune hanno bassi livelli di zinco, di selenio e di ferro, mentre il ferro e il selenio hanno valori più bassi nei pazienti con ipotiroidismo autoimmune, rispetto ai controlli sani (Talebi S et al. 2020).

Lo iodio è un micronutriente essenziale perché entra nella struttura chimica degli stessi ormoni tiroidei.

Bibliografia scientifica: Libro salute della Donna Metagenics

 

Camilla Corrado
Camilla Corrado
Estetista Imperia
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Meraviglioso viaggio dentro se stessi ove il capitano vi farà scoprire luoghi inesplorati ... 💞🌈🙏❤️

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