La guarigione è integrazione
Malattia Linguaggio dell’AnimA
Gli occhi corrispondono al sole e al maschile. Goethe ha detto: «Se l’occhio non fosse solare, non potrebbe guardare il sole»,
L’organo dell’udito si presenta invece all’esterno attraverso il padiglione auricolare, che simbolicamente è vicino alla luna e al femminile.
Gli occhi sono l’unica parte del nostro corpo attraverso la quale è possibile vedere il cervello, poiché il nervo ottico e la retina fanno parte del sistema nervoso centrale.
A suo modo la vista è vicina alla coscienza.
Gli occhi, sono divenuti organi sensoriali di prima classe quando il cervello ha acquisito una posizione di preminenza.
Ma se è vero che il pensiero informa la vista, possiamo essere certi anche del contrario, e cioè che la vista informa il pensiero: in entrambi la possibilità e le fonti di errori coincidono e le due facoltà si stimolano reciprocamente.
Il pensiero ha sempre aiutato la vista a superare in modo elegante i diversi errori che essa compie; infatti mentre possiamo avere percezioni uditive e olfattive in tutte e quattro le direzioni, ci è consentito di vedere solo la metà del mondo. Soltanto alcune divinità dotate di molti occhi e Argo, il pastore dai molti occhi, possono scorgere la totalità.
La vista è orientata verso la luce del sole, i cui raggi sembrano prendere sempre la strada più dritta e più breve.
In modo corrispondente, noi cerchiamo anche di pensare e progettare seguendo una linea retta e evitando le deviazioni.
Abbiamo costruito il nostro mondo circostante artificiale basandoci sulla linea retta e sugli angoli di novanta gradi, mentre la natura vive di curve e arrotondamenti e non conosce queste nostre figure geometriche.
Non solo il nostro pensiero tende alla strada più breve, ma anche tutte le nostre idee e le nostre aspettative di un ulteriore sviluppo sono proiezioni lineari nel futuro.
Poiché però nella realtà niente accade in modo rettilineo, in queste pianificazioni qualcosa va sempre di traverso.
Molte cose ci ricordano che la violenza fatta al nostro ambiente naturale ha a che fare con l’imposizione forzata della direzione rettilinea. Ciò si basa su un errore di pensiero strettamente connesso alla vista.
Quanto la vista e le sue percezioni siano legate alla luce, lo rivelano espressioni quali lampo di genio, illuminazione, mente chiara, mente illuminata, cupo medioevo e così via. Parliamo ovviamente della luce della conoscenza, e non del suo suono, sapore o profumo.
Il suono peraltro ha diritto di reclamare maggiori onori, poiché nei miti di molti popoli gli è attribuita un’importanza eccezionale e l’intera creazione è cominciata con lui.
«All’inizio era il Verbo», insegna la Bibbia, mentre i Veda indiani raccontano che tutto è nato dalla sillaba originaria Om.
Secondo le popolazioni originarie dell’Australia Dio cantò il mondo. Perfino nel nostro mondo disincantato, la fisica insegna che l’universo ha avuto origine dal Big Bang.
Mal comprendendo questa situazione, noi abbiamo privilegiato la vista rispetto all’udito e abbiamo collocato al primo posto la lucida ragione.
Diciamo che alla nascita vediamo la luce del mondo, sebbene sappiamo che molto prima di vedere questa luce abbiamo sentito il battito del cuore materno e che nelle fasi decisive della vita è meglio ascoltare il cuore che badare alla ragione.
Struttura di questo organo ci rivela un’altra complessa caratteristica della nostra vista e quindi anche della nostra coscienza:
non siamo in grado di vedere con la retina in modo ugualmente valido e acuto. Ai margini, la facoltà visiva è più debole e la capacità di percepire i colori limitata: solo al centro l’occhio svolge le sue funzioni nel migliore dei modi.
Allo stesso modo concentriamo la coscienza sulle cose più importanti e lasciamo cadere nel vuoto quelle non essenziali. L’atto di scegliere ha un doppio carattere, che consiste nel far entrare e uscire.
Probabilmente la vista non è stata sempre così centrata. Ancora oggi «altri mammiferi», come ad esempio il cavallo, dispongono dell’intero campo visivo.
Accanto al punto in cui la vista è più acuta, il nostro occhio ha anche una zona cieca, nel punto in cui il nervo ottico entra nella retina.
Anche la coscienza allenata alla scelta e a punti di vista univoci, se costretta a trovare razionalmente la strada più breve, produce zone cieche. Ogni concentrazione e ogni conseguente decisione si basano sulla valutazione e presuppongono un processo mentale.
L’esperienza della prospettiva dimostra quanto sia importante il ruolo della valutazione sia nel processo della vista che in quello del pensiero. Distorcendo la realtà, percepiamo ciò che è vicino come grande e ciò che è lontano come piccolo.
Per questo l’egocentrismo, che nel corso della storia ha improntato il nostro pensiero, è già presente nel nostro modo di vedere. Solo quello che ci è fisicamente vicino ottiene nel nostro pensiero e nella nostra ottica uno spazio adeguato.
Una pustoletta sulla punta del nostro naso è per noi più vicina, e di conseguenza più importante, di un’epidemia di colera scoppiata in America Latina.
D’altro canto, si verifica anche l’effetto apparentemente contrario della proiezione, che ha sempre un rapporto fondamentale con l’occhio.
Mentre ignoriamo deliberatamente la trave del nostro occhio, vediamo senza alcuna difficoltà la pagliuzza semi-nascosta in quello di un altro. Ci siamo imposti di vedere soltanto ciò che esiste al di fuori di noi, sebbene in qualsiasi momento il nostro occhio possa dimostrarci il contrario.
Ogni immagine, infatti, si sviluppa sempre e soltanto sulla retina, che innegabilmente è posta all’interno del nostro corpo.
Le copie, tuttavia, ci permettono di venire a conoscenza di un’altra verità: chi guarda il sole e poi chiude gli occhi, vede una macchia nera, un negativo del sole, che all’esterno non esiste affatto.
I sogni ci dimostrano ogni notte che non abbiamo sempre bisogno della retina per vedere. Tutte le immagini, sia quelle che apparentemente percepiamo all’esterno e proiettiamo dentro di noi, sia le visioni oniriche, sono in realtà sempre rappresentazioni interiori.
Non ne esistono altre e per principio non ne possono esistere.
Nonostante ciò noi consideriamo il nostro occhio una macchina fotografica e riteniamo che tutto ciò che fotografiamo al di fuori di noi è veramente lì fuori. Nel primo volume abbiamo dimostrato per altre vie, come questa naturale supposizione sia problematica.
In realtà noi vediamo tutto a livello interiore e lo spieghiamo al mondo esterno. Si tratta del meccanismo della proiezione, con l’aiuto del quale proiettiamo fuori tutto ciò che non possiamo sopportare dentro.
L’occhio quindi rappresenta la base tanto per la razionalizzazione quanto per la proiezione, appoggia le nostre valutazioni e, operando delle scelte, limita la nostra percezione del mondo.
Poiché fa tutto questo al servizio del pensiero e della sua visione del mondo lineare, razionale e valutativa, la coscienza si prende la rivincita con uno stratagemma audace: suggerisce che tutto ciò che i nostri occhi percepiscono sia oggettivo – cioè che tutto ciò che immaginiamo esistere all’esterno, corrisponda alla verità.
Su questo giochetto si basano la nostra visione del mondo e il predominio dell’intelletto. Quest’ultimo, in fondo, deve agli occhi la possibilità di rendere artificialmente rettilineo il mondo sferico. Di quanta abnegazione l’occhio necessiti è rivelato dalla sua stessa forma rotonda.
Oggi sappiamo che in realtà su questa terra non c’è niente che procede in modo rettilineo. Quella che nel piccolo ci appare come una linea retta, è in realtà una curva, come dimostra la curvatura terrestre. Perfino la luce non arriva attraverso raggi diretti del sole, ma giunge fino a noi a grandi spirali.
Recentemente è stato anche scoperto che il nostro occhio può percepire soltanto una minuscola parte dello spettro delle onde elettromagnetiche, e quindi della nostra «realtà».
In questa situazione problematica, che di fatto minaccia il loro illimitato predominio, l’intelletto e l’occhio hanno unito ancora di più le loro forze e l’intelletto ha collaborato con l’occhio molto più di quanto non abbia fatto con gli altri organi.
Con mezzi tecnici si è adoperato per estendere le facoltà limitate dell’occhio, aiutandolo ad esaminare il microcosmo con i microscopi e a scrutare i vasti spazi del cosmo con cannocchiali e telescopi.
Tutti gli aiuti tecnici a cui è stato fatto ricorso suggeriscono che la nostra vista non ha problemi come del resto ci rivela ciascuno dei due occhi che torna ad essere sincero se separato dall’altro.
Noi non guardiamo liberamente il mondo, di esso vediamo solo alcune cose, continuando ad ignorare le altre. Schopenhauer, parlando del «mondo come volontà e rappresentazione» si avvicina all’esperienza di Herman Weidelener, secondo il quale guardare è anche seminare.
In tal modo si dà via libera al concetto di speculazione (dal lat. Speculare = osservare) come attività strettamente connessa all’atto del vedere che, proprio per questo motivo, diventa ancora più sospetto.
A questo punto possiamo trarre un esempio dalla politica, in cui può avvenire che i delegati di una forza sociale siedano allo stesso tavolo con i rappresentanti di un partito conservatore o liberale e discutano per anni senza cambiare il loro punto di vista e senza raggiungere alcun risultato.
Gli occhi ci mostrano quanto siamo vincolati alla polarità: della contemporaneità fanno una successione e in tal modo si ergono ad autentici garanti della linearità. Dall’unità creano la duplicità e si creano una visione duale del mondo. Percepire l’unità con i due occhi fisici è, per principio, impossibile.
In questa posizione non dobbiamo sorprenderci di avere con tanta frequenza problemi agli occhi: è anzi un fatto tipico.
Che noi tutti tendiamo a stancare troppo i nostri occhi, è dovuto alle esigenze del nostro mondo che in prima istanza è ottico. Di conseguenza, ogni volta che ci rifiutiamo di riconoscere a livello conscio le cose che percepiamo, si creano dei problemi.
Il non guardare dentro, il non volere accettare ciò che percepiamo, si somatizza in forme e malattie diverse.
Le culture cosiddette «primitive» dimostrano che questi fenomeni sono così frequenti soltanto da noi: non essendo costretti a guardare in un’unica direzione, i loro ragazzi superano l’adolescenza senza cadere nella miopia e col passare degli anni non sono colpiti da presbiopia.
Doc. Rudiger Dahlke