la cronicità e il dolore
L’effetto di infezioni croniche virali come citomegalovirus, Epstein-Barr virus, epatite C e altri sull’insorgenza di infiammazione cronica di basso grado è controverso.
Probabilmente contribuiscono a mantenere uno stato di infiammazione cronica ma non ne sono il driver primario, interagendo invece in modo sinergico con fattori genetici e ambientali.
Popolazioni che attualmente vivono in uno stato di cacciatori-raccoglitori e hanno contatti molto ridotti con il mondo occidentale, pur essendo esposti ad una quantità elevata di patogeni hanno tassi bassissimi di patologie non comunicabili e ridotte fluttuazioni dei marker infiammatori con l’età.

Gli stili di vita, i rapporti sociali e l’ambiente fisico in cui si vive nei paesi industrializzati sono molto lontani da quelli ancestrali in cui l’uomo si è evoluto.
Scarsa attività fisica, alterazione dei ritmi circadiani e consumo di junk food esercitano effetti negativi che controbilanciano e spesso superano gli effetti positivi dell’industrializzazione, tra cui sanitizzazione, accesso a cure mediche avanzate e vaccinazioni.
Inoltre, lo stress cronico psicologico e sociale a cui molti individui sono sottoposti nei paesi industrializzati contribuisce allo sviluppo di infiammazione cronica di basso grado mediante meccanismi epigenetici che modulano la secrezione di ormoni dello stress e di citochine pro-infiammatorie.

È stato osservato che vivere situazioni avverse durante l’infanzia contribuisce ad alzare i valori di proteina C reattiva, TNF-alfa e IL-6 nell’età adulta. Nel mondo, il 31% della popolazione non pratica attività fisica.
Il muscolo è un organo che, durante la contrazione, è anche in grado di produrre e rilasciare in circolo specifiche citochine e miochine, le quali esercitano complessivamente effetti antinfiammatori a livello sistemico. L’inattività fisica è quindi considerata un fattore di rischiper lo sviluppo di patologie non comunicabili.
Una recente metanalisi di studi di coorte, che ha coinvolto oltre 1,6 milioni di persone in tutto il mondo per un periodo di 12 anni, ha osservato che passare da una condizione di inattività fisica allo svolgimento di 150 minuti di attività fisica aerobica moderata alla settimana comporta:

- Una riduzione del rischio di mortalità per malattie CDV del 23%;
- Una riduzione dell’incidenza di malattie CDV del 17%;
- Una riduzione dell’incidenza di diabete tipo 2 del 26%. In altri studi e metanalisi che hanno coinvolto quasi 2 Milioni di persone
è emerso inoltre che l’inattività fisica si associa ad un aumento del 20% del rischio di sviluppare tumori e obesità, mentre le persone che svolgono almeno il minimo di attività fisica consigliato hanno un rischio di sviluppare Alzheimer ridotto del 40%.
L’alterazione del delicato equilibrio intestinale, che si manifesta anche con alterazione delle funzioni di barriera e aumento della permeabilità, si associa a infiammazione di basso grado;

l’utilizzo eccessivo di antibiotici, di FANS e di inibitori di pompa protonica (PPI), l’eccessiva igiene (che comporta ridotta diversità microbica) e la dieta occidentale (Western-type) contribuiscono in modo rilevante all’insorgenza di disbiosi e di alterazione delle funzioni di barriera intestinale.
La dieta occidentale, in particolare, è ricca di alimenti processati (con l’aggiunta di additivi e conservanti che influiscono sulla stabilità del microbioma), prodotti della glicazione avanzata (AGEs),
acidi grassi trans, sale, alimenti e prodotti ad elevato indice glicemico, e carente di micronutrienti importanti come zinco, magnesio e omega-3: questi aspetti contribuiscono ad alterare l’equilibrio del microbioma provocando uno shift verso fenotipi pro-infiammatori.

La barriera intestinale è una struttura complessa e funzionale costituita da quattro livelli: microbioma, muco, epitelio e GALT. Una barriera integra impedisce il passaggio di antigeni, tossine, patogeni e altre molecole pro-infiammatorie, mentre l’alterazione della barriera favorisce il loro ingresso, che può portare a stimoli infiammatori locali e sistemici.
L’aumento della permeabilità è stato quindi associato allo sviluppo di infiammazione cronica di basso grado favorita dalla traslocazione di componenti microbici e altre molecole pro-infiammatorie, e contribuisce allo sviluppo di molte già citate patologie associate a lowgrade inflammation,
come malattie infiammatorie intestinali (IBD), sindrome dell’intestino irritabile (IBS), steatosi epatica non alcolica (NAFLD), depressione e malattie autoimmuni.

Anche le altre barriere presenti nell’organismo, come la barriera emato-encefalica, emato-retinica, emato- neuronale, endoteliale e linfatica, che sopportano molto bene un’infiammazione acuta,
vengono invece danneggiate da un processo infiammatorio cronico di basso grado e il danno di queste barriere favorisce lo sviluppo di infiammazione sistemica.
La combinazione di dieta ad alto contenuto di grassi trans e zuccheri e inattività fisica contribuisce inoltre ad alterare la funzionalità di organelli cellulari come i mitocondri e alla formazione di molecole ossidate,
malfunzionanti e misfolded, che vengono riconosciute come DAMPs e attivano in cronico il sistema immunitario innato contribuendo all’inflammaging.

Bibliografia: Metagenic Il Consiglio degli Specialisti
