Danni da insulina

RR: Ho iniziato a mettere in discussione le concezioni convenzionali quando ero ancora alla facoltà di medicina e studiavamo il diabete di tipo 2 ...

Un’intervista con il dottor Ron Rosedale

Oltre al dottor Rosedale con il suo lavoro, un’altra figura che ha avuto una profonda influenza su di me e mi ha ispirato a scrivere questo libro è lo scrittore Travis Christofferson. Essendo dotato di uno stile scorrevole e avvincente, gli ho chiesto d’intervistare il dottor Rosedale per questo libro.

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TC: Le persone che uscivano dalla tua clinica negli anni Ottanta e Novanta erano spesso confuse, perché le cose che dicevi tu erano il contrario di tutto ciò che avevano sentito in passato. A prescindere dalle loro condizioni – sia che soffrissero di diabete, di malattie cardiovascolari, di osteoporosi, di dolori acuti e cronici, sia che volessero prevenire il cancro o semplicemente migliorare il loro stato di salute – la tua prescrizione era sempre la stessa: mangiare meno carboidrati, meno proteine e più grassi.

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Questo accadeva in un’epoca in cui la “grassofobia” era al culmine. Vorrei capire come si è evoluto il tuo pensiero nel corso degli anni. Quando hai cominciato a mettere insieme tutti gli indizi raccolti nel tempo e come sei giunto a comprendere che le concezioni della comunità medica sulle malattie e sul ruolo della nutrizione nel loro sviluppo erano sbagliate?

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RR: Ho iniziato a mettere in discussione le concezioni convenzionali quando ero ancora alla facoltà di medicina e studiavamo il diabete di tipo 2. Mi chiedevo: se un diabetico ha la glicemia alta, perché dovremmo invitarlo a mangiare più zuccheri e poi somministrargli dei farmaci per correggere la glicemia? Era questo che ci veniva insegnato:

trattare la glicemia senza affrontare la sua vera causa. L’alternativa mi pareva ovvia: eliminare i carboidrati che il corpo converte in zuccheri e sostituire quelle calorie con i grassi.

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Mi sembrava che limitarsi a trattare i sintomi fosse come cercare di estirpare un fiore di tarassaco tirandolo per le foglie: non si ottenevano grandi risultati. Ma il problema era che la medicina ufficiale ignorava la causa primaria della malattia.

Terminati gli studi, quando avevo già avviato la mia attività, prescrivevo una dieta a basso apporto di carboidrati e ad alto contenuto di grassi, e i risultati erano notevoli. Uno dei primi casi che seguii fu un uomo che si presentò nella sala d’attesa del mio studio il giorno prima di subire il suo secondo intervento di bypass.

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Gli avevano detto che se non si fosse sottoposto all’intervento sarebbe morto dopo poche settimane. Era disposto a fare qualunque cosa pur di evitare un altro intervento, perché l’esperienza del primo bypass era stata orribile. L’uomo era in pessime condizioni. Ogni giorno gli venivano somministrate 102 unità d’insulina, ma i suoi livelli di glicemia continuavano a superare i 300. Inoltre prendeva altri otto farmaci per altre malattie croniche.

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Invece di trattare ogni singolo problema con le medicine, gli prescrissi una dieta a basso apporto di carboidrati e ad alto contenuto di grassi, e gli tolsi subito alcune delle medicine che prendeva riducendo gradualmente il dosaggio delle altre. Il mio obiettivo era ripristinare la comunicazione cellulare tra i venti trilioni di cellule del soggetto fino a quando i geni avrebbero ripreso a parlare con gli altri geni e gli ormoni con i loro recettori.

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L’insulina che scorreva nelle vene dell’uomo in dosi massicce gridava istruzioni a voce così alta e aveva un effetto così abrasivo che le cellule avevano smesso di ascoltarla, perciò era insorto un problema chiamato resistenza all’insulina. La sospensione di quelle grida continue consentì alle cellule di riattivare i recettori dell’insulina per ricevere di nuovo i segnali e rispondere in maniera appropriata.

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Quando fu ripristinata la comunicazione tra l’insulina e il resto del corpo, molti altri problemi cominciarono a risolversi. L’equilibrio elettrolitico si ristabilì e i vasi sanguigni si dilatarono, perciò la pressione sanguigna si normalizzò. Le occlusioni dei vasi iniziarono ad allentarsi e i nervi cominciarono a guarire. I risultati furono straordinari: nessun intervento chirurgico, niente più farmaci, nessun dolore al petto o neuropatia.

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L’uomo continuò a giocare a golf per altri quindici anni. Seguitai a trattare con lo stesso metodo molte persone che soffrivano di varie malattie, e tutte ottennero risultati notevoli. Più condizioni approcciavo con questo tipo di dieta, più mi accorgevo che la moltitudine di malattie croniche che affligge la nostra società è ingannevole. Quelle malattie erano soltanto dei sintomi: la causa primaria era l’insulina.

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TC: Alcuni anni fa hai tenuto una conferenza epocale dal titolo “L’insulina e i suoi effetti metabolici”, che ha iniziato ad aprire gli occhi e la mente di molte persone. Nel XXI secolo sappiamo che la resistenza dei recettori dell’insulina è la causa primaria delle disfunzioni mitocondriali. Che cos’altro ti ha aiutato a comprenderlo?

RR: Negli anni Ottanta e Novanta le ricerche sull’invecchiamento iniziavano a prendere piede. Anch’io mi c’immersi, guidato dal sentore che la causa di molte malattie fosse riconducibile ad aspetti non pienamente compresi del processo d’invecchiamento, e sospettavo che la chiave fosse l’insulina.

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Essenzialmente la vita ha un unico imperativo: la riproduzione. Quando superiamo il picco della fase riproduttiva, la natura diventa indifferente alla nostra sopravvivenza e noi cominciamo quel processo di degenerazione programmata che definiamo invecchiamento.

Appresi che gli effetti corrosivi dell’insulina in eccesso si potevano osservare facilmente. Se versi dell’insulina nell’arteria femorale di un cane, l’arteria si occlude quasi completamente in poco più di tre mesi per via della placca.

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Questo mi aiutò a comprendere che la resistenza all’insulina era la causa radicale di una miriade di fenomeni corrosivi dovuti all’invecchiamento, compresi i trigliceridi elevati, le carenze di magnesio, l’aumento della divisione cellulare, la glicazione proteica e l’inibizione dell’autofagia (il processo con cui le cellule si liberano dei detriti).

Nella mia mente la risposta pareva ovvia: se il nucleo dei problemi di salute che affliggono molte persone deriva dal generale processo d’invecchiamento, e l’insulina e l’IGF-1 segnalano al corpo d’invecchiare, allora bisogna provare a tenere i livelli d’insulina e d’iGF-1 più bassi possibile, ritardando l’invecchiamento e al tempo stesso attivando le vie di ricostituzione.

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TC: Oltre all’importanza dell’insulina, tu hai capito che anche la leptina influisce sull’obesità e sulle malattie croniche. Come sei arrivato a comprenderlo?

RR: Notai che la leptina agisce attraverso un meccanismo elementare: determina un punto di regolazione per l’accumulo del grasso. Il punto di regolazione è normalizzato dal grasso stesso. In altre parole, il grasso determina il proprio destino producendo la leptina.

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Pensai che quando una persona accumula una salutare quantità di grasso, nel corpo viene rilasciata una dose sufficiente di leptina che circola fino a raggiungere l’ipotalamo e impartisce istruzioni precise: smetti di mangiare e comincia a bruciare i grassi. Viceversa, se una persona diventa troppo magra, i livelli di leptina calano, perciò al corpo viene segnalato di mangiare di più e di accumulare più grasso.

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In sostanza, mi sembrava che la leptina agisse come una sorta di mediatore, garantendo il giusto equilibrio tra la necessità di conservare una quantità sufficiente di energia per sopravvivere a periodi di carestia ed evitare che il corpo ingrassi tanto da non riuscire a cacciare o a fuggire da un predatore.

Ma quando i ricercatori testarono i livelli di leptina nei soggetti obesi, scoprirono che erano alti, il che contraddiceva le convinzioni di tutti, me compreso, sul funzionamento dell’ormone.

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Allora cominciai a chiedermi se la mia dieta anti-invecchiamento potesse funzionare anche per la resistenza alla leptina. Come nel caso dell’insulina, forse bastava eliminare l’eccesso di leptina e concedere una tregua all’ipotalamo e alle cellule del corpo perché potessero “risensibilizzarsi” al segnale della leptina?

La resistenza all’insulina e quella alla leptina sono processi di desensibilizzazione, proprio come quando entri in una stanza dove c’è un forte odore e a lungo andare smetti di percepirlo. Sviluppi una resistenza all’odore. Ma se esci da quella stanza e rimani fuori per un po’ di tempo, ritrovi la tua sensibilità; perciò quando torni dentro riesci ancora a sentire quell’odore.

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Per verificare la mia teoria, avevo bisogno di un laboratorio che potesse svolgere dei test sulla leptina. All’epoca ce n’era uno solo negli Stati Uniti. Grazie ai test scoprii che eliminando i carboidrati e alcuni aminoacidi (riducendo il consumo di proteine), i livelli di leptina dei soggetti si dimezzavano nell’arco di pochi giorni. Insieme al calo della leptina, le persone non avevano fame e perdevano peso. Stavano ristabilendo la
sensibilità alla leptina.

TC: E che mi dici della necessità di limitare le proteine?

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RR: Il primo dato che appurai è che gli aminoacidi delle proteine si possono convertire in zuccheri, che a loro volta stimolano la resistenza all’insulina. Perciò, anche se le proteine sono vitali per la salute, cominciai a notare che c’era un punto ottimale: bisognava consumarne a sufficienza ma mai eccedere. Poi iniziai a svolgere ricerche sulla mTOR e notai che essa è fortemente influenzata dal consumo di proteine.

Avevo l’impressione che le diete a basso apporto di grassi e ad alto contenuto di carboidrati prevedessero un consumo di proteine più elevato del necessario.

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Avevo riscontrato nei miei assistiti che se limiti il consumo di metionina – un aminoacido presente in alte concentrazioni nella carne – riduci la massa grassa viscerale e preservi l’azione dell’insulina, perciò abbassi i livelli d’insulina, glucosio e leptina. Inoltre ottieni un profilo di espressione genica simile a quello che si riscontra durante il trattamento con la rapamicina: uno dei più potenti farmaci antitumorali noti all’uomo.

La Dieta Paleolitica cerca di allineare l’alimentazione all’evoluzione umana. Ma la vita deve trovare un precario equilibrio tra energia e riproduzione, crescita e riparazione, nutrimento e apatia. Se stimoli la mTOR, il tuo corpo si avventura per la strada che porta all’invecchiamento e alla morte: è quello che è programmato a fare. L’obiettivo che mi propongo con la mia dieta è contronatura.

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Io cerco d’intervenire sulla natura stessa per rallentare il processo d’invecchiamento. Man mano che invecchiamo, le proteine in eccesso portano le cellule a rassegnarsi all’invecchiamento.

Mentre la limitazione delle proteine scatena una rete meravigliosamente orchestrata di processi interni che tengono lontane le malattie, prolungano la durata della vita e aumentano la probabilità di attuare l’imperativo biologico della riproduzione.

L’obiettivo è prolungare la giovinezza il più possibile, evitare le malattie croniche e vivere una buona vita. Tutto questo perché “salute e longevità sono determinate dalla proporzione tra i grassi e il glucosio che si bruciano nell’arco dell’esistenza. E questa proporzione è determinata dalle scelte alimentari”

Dr. Joseph Mercola “Trasforma il grasso in energia

Antonella Gaudenzi
Antonella Gaudenzi
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Mi sono affidata a Francesco da un paio di mesi circa e da subito mi sono resa conto di avere trovato un professionista preparatissimo che ha immediatamente inquadrato l'origine scatenante delle mie problematiche. Mi ha spiegato esaurientemente, con grande conoscenza in materia, i meccanismi che avvengono quando un organismo necessita di essere detossinato. Francesco inoltre è una persona positiva, solare che ti trasmette tanta voglia di vita. Riesce anche a capire quelle che possono essere le motivazioni psicologiche che possono aver determinato un problema. È tempestivo nel rispondere ai messaggi su eventuali dubbi che possono insorgere, e penso di poter contare su di lui per consigli nel caso dovessi avere, spero mai, problemi legati al "vairus". Grazie di esistere❣️

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