Comprendere le cause

Negare il problema solo perché non siamo in grado di riconoscerlo è colpa grave.

Evidenza scientifica?

Il medico dovrà dare fondo a tutte le sue conoscenze e competenze per guarire o almeno soccorrere al meglio colui che gli ha chiesto aiuto.

Per farlo dovrà analizzare la complessità della personsa, entrare in rapporto umano con lui e ampliare il raggio delle sue considerazioni fino a identificare un possibile percorso di intervento nel rispetto del “primum non nocere” ippocratico. Dalla consapevolezza di questo ruolo “pratico” del terapeuta nasce la ricerca, per ottenere la guarigione di un paziente, anche di vie non convenzionali, che lo scienziato puro tende ad escludere.

L’analisi di eventuali ipersensibilità alimentari è dunque stata spesso percorsa da medici dalla mente aperta, partendo dal presupposto scientifico secondo il quale un’assunzione ripetuta di alcuni cibi

Può provocare uno stato infiammatorio diffuso, che può anche cronicizzare e infine esitare in sintomatologie del tutto simili a quelle allergiche, ma prive dei marker consueti di queste patologie (anticorpi specifici IgE verso quegli alimenti).

Dunque si può iniziare a curarlo con psicofarmaci. Un’analisi della situazione come questa appena descritta è veramente medievale. Perché il paziente presenta sintomi gravi (rinite, artrite, dermatite, asma, dissenteria ecc.)

In assenza di evidenza di positività agli anticorpi IgE (immunoglobuline di tipo E) gli allergologi, come già discusso in precedenza, hanno trovato l’elegante soluzione di negare l’esistenza del problema. Se gli esami basati sulle IgE sono negativi, significa che non vi è allergia, dunque le soluzioni sono due: o il paziente è psicosomaticamente labile e suggestionabile, o è perfettamente sano senza saperlo.

 E si sente dire dal curante che non ha nulla e che il problema sta solo nella sua mente. Negare il problema solo perché non siamo in grado di riconoscerlo è colpa grave, di cui nessun medico dovrebbe macchiarsi. Così come porsi qualche domanda oggi sull’opportunità di prescrivere sempre e solo farmaci, senza mai lavorare sul cambio dello stile di vita, che ben altri effetti potrebbe avere sulla salute complessiva dell’organismo.

Forse perché individuare le famiglie di alimenti a rischio non è troppo difficile (“Dottore, ogni volta che bevo un bicchiere di latte devo correre in bagno…”).

Ma soprattutto perché lavorare sulle rotazioni alimentari abbassando l’infiammazione cronica permette di deprescrivere un gran numero di farmaci. Questo è ciò che irrita l’industria farmaceutica: con lo stile di vita non si può e non si deve guarire nessuno.

Valutazione non come diagnosi

L’identificazione degli alimenti verso cui l’organismo produce una risposta infiammatoria cronica generalizzata, in effetti, non è troppo difficile.

Molti test sono stati utilizzati in passato: chinesiologici (rilevavano una caduta di forza al contatto della mucosa buccale con l’alimento sospetto), citotossici (rilevavano rigonfiamento dei globuli bianchi in provetta a contatto con l’allergene) o sul sangue (rilevavano le IgG, cioè gli anticorpi, prodotti verso un certo alimento), con mille varianti operative diverse.

Il paziente che accusi una dermatite o una dissenteria negative ai test classici basati sulle IgE, e che si trovi un test “non convenzionale” che gli segnala sensitivity nei confronti di pecorino, noci Pecan e banane, non avrà alcun beneficio togliendo dalla sua dieta quei tre alimenti.

Per impostare un percorso alimentare di guarigione occorre ricondurre le eventuali positività suggerite dal test a famiglie alimentari più ampie rispetto al singolo alimento.

Le più comuni sono gruppi del frumento/glutine, dei latticini, dei prodotti fermentati, del Nichel, dei salicilati. Questi gruppi o famiglie sono conseguenza di un iperconsumo di alcuni alimenti che si è avuto negli ultimi 2-300 anni, ma in particolare negli ultimi 50.

L’uomo primitivo, infatti, consumava, è vero, anche segale e frumento, ma alternandoli con centinaia di altri semi diversi, e solo per brevi periodi dell’anno. Ciascun seme contiene un “collante” che tiene insieme le proprie scorte amilacee, ma come mai noi siamo sensibili (statisticamente parlando) solo al glutine, che è il collante di frumento, segale e orzo, e non ai collanti del sorgo, del miglio o del grano saraceno?

Per il semplice motivo che ci ingozziamo ogni giorno di frumento in ogni sua forma.

E lo stesso vale per gli altri allergeni maggiormente rappresentati: latte e latticini, lievitati (alcolici, aceto, formaggi, pane e prodotti da forno) ecc.

Se alternassimo con un po’ d’intelligenza questi cibi, le sensitivities scomparirebbero rapidamente con tutto il loro corollario di patologie, come di fatto era cent’anni fa, quando l’alimentazione era sicuramente più povera ma anche enormemente più varia di oggi.

Bibliografia: Medicina di Segnale

Simonetta Colli
Simonetta Colli
Fano
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